I dipendenti del Banco nazionale di prova sono in sciopero per il rinnovo del contratto, quindi non certificano le armi prodotte dalle aziende italiane proprio nella stagione migliore per la vendita, che va da maggio a luglio. Le aziende, già provate dalla crisi, avvertono che a breve saranno costrette a lasciare a casa gli operai. «Ormai lavoriamo on demand, e perdere ordini nel circuito dell’economia globale vuol dire perdere definitivamente il mercato», denuncia il presidente dall’Associazione nazionale produttori di armi e munizioni (Anpam), Nicola Perrotti. Dalla sede del Consorzio armaioli bresciani, il presidente del Pierangelo Pedersoli, lo stesso Perrotti, il direttore dell’Associazione industriali Piero Costa, il direttore generale di Beretta Carlo Ferlito, Massimo Tanfoglio dell’omonima azienda, il presidente Fair Luca Rizzini hanno detto chiaro e tondo che non vogliono più sottostare a ricatti.
Non entrano nel merito della vertenza in corso, che è faccenda tra i dipendenti e la direzione del Banco, ma avvertono che non ci stanno a finanziare il contratto con un aumento delle tariffe delle prove che «in certi casi arrivano fino al 10 per cento del costo del prodotto e ci penalizzano nei confronti della concorrenza americana e turca che non ha obbligo di prove». E promettono azioni per trovare «soluzione alternativa alle inefficienze di quell’ente che non si sa se sia pubblico o parapubblico».
I dipendenti del Banco, dei quali una quarantina presidia la sede, dicono di essere «tutti uniti finché non si trova un punto d’incontro tra le proposte della direzione e la mediazione nostra». «Chiedono 55 euro in paga base e 1.500 di premio, gliene offrono 30 e 1.050 e su questo si può trovare un accordo. Ma l’azienda non molla sui diritti, in cambio vuole il 10 per cento in più di produttività contro la proposta del 2 per cento della Rsu e vuole troppa flessibilità», spiega il responsabile Fiom per la Valtrompia Antonio Ghirardi.
Il Banco di prova ha sede unica a Gardone Valtrompia con distaccamenti alla Beretta e alla Benelli di Urbino. In tutto una settantina di dipendenti che devono accertare qualità, sicurezza e resistenza di ogni singola arma prodotta. Gli industriali non contestano il Banco, di cui riconoscono il valore e l’importanza, ma quando le prove si interrompono, si ferma un sistema che in Italia fa 4 mila addetti (più 45 mila dell’indotto) e un fatturato di oltre 600 milioni di euro (250 mila solo a Brescia). E studiano alternative. «Attribuire alle singole aziende la responsabilità della certificazione», dice Perrotti, «e trasformare il Banco in agenzia di controllo». Ma non si esclude nemmeno l’ipotesi tedesca, con diversi banchi di prova in concorrenza.