Lei annuncia di volerlo lasciare, lui la uccide e ammazza anche il figlioletto, tentando poi il suicidio: con un semplice oggetto contundente. Continua a confermarsi che non è il mezzo che fa la tragedia, ma un distorto senso di possesso nei confronti del partner
L’insensata tragedia della scorsa notte a Carmagnola, alle porte di Torino, conferma un concetto drammaticamente semplice: diversamente da quanto vorrebbero far credere le associazioni disarmiste, purtroppo per commettere femminicidi o addirittura stragi famigliari il possesso legale di un’arma da fuoco non è affatto necessario. Come già accaduto in molti altri casi in passato, uno su tutti la vicenda Filippone, anche in questo caso l’omicida, 39 anni, non ha avuto bisogno di chiedere il porto d’armi e acquistare una pistola in armeria: ha “risolto” nel modo peggiore e più vigliacco il conflitto instauratosi con la moglie coetanea, che aveva annunciato di volerlo lasciare, massacrandola con uno o più corpi contundenti, per poi riservare bestialmente lo stesso trattamento al figlio di appena 5 anni. Il successivo tentativo di suicidio non ha avuto successo e l’uomo è adesso piantonato in ospedale, dove non corre pericolo di vita.
Come già abbiamo avuto modo di osservare in più occasioni, ancora una volta si dimostra concretamente che, purtroppo, il mezzo utilizzato per commettere un femminicidio o un omicidio famigliare è del tutto relativo e, infatti, non è con l’arma da fuoco che viene commesso in Italia il maggior numero di femminicidi, bensì con altri mezzi, che comprendono coltelli, oggetti contundenti, strangolamento o altre modalità ancor più agghiaccianti (fuoco, precipitazione, investimento con l’auto eccetera).
Se si vuole incidere concretamente sui femminicidi, purtroppo (e sottolineiamo purtroppo, perché sarebbe la via più facile) non è sul mezzo che bisogna concentrarsi, bensì sugli attori di questo dramma: che nella maggior parte dei casi sono uomini (talvolta anche donne, però) incapaci di gestire in modo maturo la crisi di un rapporto di coppia, ancor oggi tanto, troppo abituati a considerare il partner come un oggetto di proprietà e il rapporto in sé come qualcosa di scontato, che non ha alcuna necessità di essere coltivato giorno per giorno. In questo caso, non risulta che l’omicida avesse precedenti (anche solo a livello di segnalazioni) per violenze contro la moglie o maltrattamenti, in altri casi invece salta poi fuori che ci sono stati schiaffi o altri segni premonitori che sono stati “perdonati” o sottovalutati dalla vittima. Di base si sta assistendo a sempre più persone che non sanno gestire in modo equilibrato il conflitto all’interno delle mura domestiche (ma più in generale con le persone) e ritengono “normale” alzare le mani sul partner, e talvolta purtroppo ci sono partner che invece di denunciare, e subito, indicatori pericolosi di una mancanza di controllo della situazione, “perdonano” e sottovalutano. Sono queste, a nostro avviso, le vere situazioni di allarme che devono essere tenute in considerazione dalla nostra società. Correre ai rimedi è senz’altro più difficile rispetto ad affermazioni demagogiche e superficiali sul mezzo impiegato: se, però, si tornasse a intervenire sull’educazione degli adolescenti, educazione sentimentale (che è diversa cosa rispetto all’educazione sessuale) ed educazione sul modo in generale di risolvere e gestire i conflitti con l’altro, ecco che si cominceranno ad avere risultati concreti.