Poco dopo le 6 di mattina dell’8 novembre due poliziotti all’interno di un’auto sono stati aggrediti davanti a una stazione di polizia di Cannes, in boulevard Carnot. L’algerino Lakhdar Benrabah, 37 anni, si è avvicinato a un veicolo della polizia posteggiato nelle adiacenze del locale commissariato e, con la scusa di chiedere informazioni, si è fatto aprire lo sportello, per poi cominciare a colpire con un coltello di grandi dimensioni l’agente ancora seduto, all’urlo “Allah akhbar”.
L’agente sembra sia stato salvato dal giubbotto antiproiettile, tanto da riuscire a esplodere tre colpi all’indirizzo dell’assalitore, mentre questo tentava di colpire con il coltello anche l’agente seduto al lato passeggero.
Norimberga: coltellate a bordo treno
Appena due giorni prima, il 6 novembre, un 27enne di non meglio precisata “origine araba” ha invece ferito a colpi di coltello tre persone, di cui due in modo grave, a bordo di un treno ad alta velocità diretto a Norimberga, in Germania. Si tratterebbe di un giovane con problemi psichici e le autorità sembrano aver escluso la pista terroristica.
Come si è precisato più volte su queste stesse pagine, la matrice terroristica non richiede per forza di cose rivendicazioni immediate e, a prescindere da tutto, la causa jihadista gode del traino anche di episodi che, nelle motivazioni sottostanti, nulla hanno a che vedere con la causa terroristica, come sembra essere accaduto in questo caso.
In ogni caso, che la spinta ad agire sia puramente religiosa, eversiva di altra natura, psicologica o sociologica, l’episodio in questione riaccende di prepotenza i fari sulla sicurezza nel mondo del trasporto, con tutte le sue particolarità.
Oslo: “spree stabbing” per le vie del centro
Solo un giorno dopo Cannes, la mattina del 9 novembre un altro attacco con il coltello. È stata la volta di Oslo, capitale della Norvegia, a ospitare lo stabbing del giorno, durante quale un uomo di 30 anni, probabilmente di nazionalità russa, ha aggredito i passanti del centro cittadino a petto nudo e con un coltello di grandi dimensioni, ferendo due persone.
L’uomo è stato intercettato da una pattuglia della polizia, che ha provato a investirlo con l’auto nel tentativo di salvare una vittima dall’imminente attacco, così attirando l’attenzione dell’assalitore che, a quel punto, si è scagliato contro gli agenti, la cui auto era finita per urtare un muro, e ferendone uno. L’offender è stato poi neutralizzato dai colpi esplosi dalla polizia.
Alcune fonti riportano che l’umo avrebbe lanciato il consueto urlo “Allah akhbar”, mentre altre riferiscono che le autorità avrebbero escluso la matrice terroristica. Come detto poco sopra, però, una cosa non esclude l’altra: da un lato il terrorismo si nutre anche dell’instabilità di soggetti più duttili al messaggio e più manovrabili; dall’altro gode comunque del traino mediatico (e di diffusione del terrore!) che anche un gesto isolato e indipendente può provocare.
La situazione in Francia
Gli attacchi di questo genere non si contano più, siano essi rivolti contro la cittadinanza in modo indiscriminato o esplicitamente contro la polizia e le forze di sicurezza in genere.
La Francia, poi, è bersagliata in modo significativo da episodi di micro-terrorismo diffuso ormai da molti anni. Non è un segreto il totale fallimento del tentativo di assorbire flussi migratori ai quali non è stato possibile, sul lungo periodo, garantire situazioni di comfort è non è nemmeno un segreto la nascita di “hot spot” (luoghi a particolare concentrazione criminale) come le banlieu (periferie), nelle quali si sono concentrate più generazioni di persone insoddisfatte dalle promesse di integrazione fatte a suo tempo, rivelatesi materialmente insostenibili.
Chi si fa assorbire dal meccanismo di ribellione jihadista, poi, ci si avvicina per le ragioni più svariate: la rabbia repressa da sfogare, un senso eroico da dare alla propria esistenza di periferia, un vantaggio economico-sociale o più semplicemente una maggiore plasmabilità dovuta a problemi di natura psichica. Comunque sia, il messaggio jihadista trova in Francia un largo bacino all’interno del quale sperare di attivare qualche proselite e la Francia in sé rappresenta senz’altro un bersaglio giudicato meritevole di punizione, anche a mente del fatto che i pesantissimi flussi migratori di lungo corso sono avvenuti in seguito a secoli di dominazione coloniale francese di buona parte del Nord Africa, e non solo.
Dunque la Francia è target appetibile sia per chi dovesse insorgere internamente sia per chi la ritiene un target meritevole contro il quale agire e vi si reca apposta.
L’attentatore di Cannes, per esempio, pare fosse sconosciuto alle forze dell’ordine e che fosse entrato in Francia nel 2016 con documenti italiani.
Anche il terrorista tunisino che nel 2020 aveva ucciso a coltellate tre persone dentro alla basilica di Nizza, Brahim Aoussaoui, era passato dall’Italia, sbarcando a Lampedusa, per poi portarsi in Francia espressamente per attentare nelle settimane in cui era in corso il processo per gli attacchi di Charlie Hebdo.
Quanto, poi, ad attacchi diretti alle forze di sicurezza in modo specifico, vengono alla mente numerosi episodi, tra i quali l’attacco del gennaio 2016, durante il quale il tunisino Tarek Belgacem, entrato in Francia come rifugiato politico, ha tentato di uccidere l’agente di guardia all’esterno di una stazione di polizia, indossando persino una falsa cintura esplosiva. Per fortuna, anche in quel caso l’attentatore è stato neutralizzato prima che potesse riuscire nel suo intento.
In proposito, occorre rimarcare però come l’assenza di vittime non consente in alcun modo di qualificare il gesto come “attacco sventato”: l’attacco c’è stato e – per fortuna – è stato respinto sul nascere. Di fronte a numeri importanti, infatti, è fondamentale resistere alla tentazione di qualificare alcuni atti – spesso gravissimi – come “attacchi sventati”, qualificazione che annacquerebbe notevolmente i numeri degli attentati. Ne esiste certamente un importante numero sventato in anticipo ma questo dato, lungi dal confortare, ci parla di un’incessante attività jihadista.
La situazione dei Paesi scandinavi
La Norvegia, a poco meno di un mese dal folle attacco portato con arco e frecce, torna a fare i conti con la gestione di simili eventi, questa volta dimostrando quanto meno di aver appreso la lezione sulla necessità di armare la polizia, a maggior tutela dell’incolumità degli agenti e della cittadinanza. Non che ci fosse bisogno delle 5 vittime del 15 ottobre per ricordarsi che, in fondo, la tutela di agenti e cittadini è l’unica ragione per cui le forze di polizia portano le armi…
In ogni caso i Paesi scandinavi sembrano cominciare a pagare il conto di un’apertura che da sempre li contraddistingue. Ci sono fenomeni, però, con i quali la nota apertura confligge: la mentalità terroristica, per esempio, ma anche l’imprevedibilità di un soggetto non in grado di autodeterminarsi per ragioni puramente psichiatriche.
Le dotazioni e le competenze
Come possono proteggersi gli agenti di polizia? L’agente aggredito a Cannes si è salvato solo grazie alla prima resistenza offerta dal giubbotto antiproiettile che indossava.
Stessa sorte è toccata nel 2017 uno dei militari di pattuglia all’ingresso del museo del Louvre, quando il 29enne egiziano Abdullah Reda al-Hamany lo ha attaccato alla gola dalle spalle con un grosso coltello, per poi essere inertizzato dai colleghi.
Identico sviluppo ebbe anche l’attacco portato da Moussa Coulibaly il 3 febbraio 2015, allorché ferì tre militari di guardia all’ingresso di un centro della comunità ebraica, il primo dei quali è sopravvissuto ancora una volta grazie al giubbotto antiproiettile che portava
I temi sono molti: la polizia e le Forze di sicurezza in genere sono un obiettivo specifico degli attacchi con arma bianca (stabbing); aggredendo un agente di polizia vi è la possibilità ulteriore di sottrargli l’arma in dotazione, potendo incrementare esponenzialmente la portata offensiva di un’azione che nasce a corto raggio (il coltello richiede una distanza corpo a corpo), a costo zero e che non richiede alcuna licenza: diventa cruciale la capacità di proteggere la propria arma e in genere il tema che va sotto il nome weapon retention; lo stabbing jihadista punta spesso alla gola, ragion per cui i primi agenti attaccati negli attentati che abbiamo citato si sono salvati la vita grazie ai giubbotti antiproiettile con protezione per il collo: le nostre forze dell’ordine vestono giubbetti a collo alto? I nostri operatori ricevono sufficiente preparazione su questa tipologia di attacchi e sulle tecniche e tattiche per poterli gestire? Ancora, a che punto siamo con l’adozione di specifici materiali anti-taglio? In numerosissimi servizi il giubbotto anti-proiettile può rappresentare una prima protezione per la sopravvivenza, ma anzitutto deve avere la protezione per il collo. Se realizzati in materiali morbidi, inoltre, non proteggono dagli affondi. L’adozione di specifici materiali anti-taglio, come manicotti, guanti e persino maglie a manica lunga e collo alto, potrebbe salvare molte vite, dato che la minaccia a mezzo del coltello appartiene a una casistica criminale ben più ampia del terrorismo.
La situazione italiana
Come detto, anche l’attentatore di Cannes, Lakhdar Benrabah, era entrato in Francia passando dall’Italia. La casistica ci insegna che in Italia, però, attacchi di questo genere sono stati sinora certamente meno frequenti rispetto ad altri Paesi europei.
Il fatto che il nostro Paese si sia offerto di fare da punto di approdo pressoché unico per l’incontrollabile flusso migratorio dal Sud del mondo verso l’Europa certamente ha contribuito a contenere sinora questo genere di fenomeno. A prescindere, però, da ogni personale valutazione circa l’opportunità di una simile scelta geopolitica, vale la pena di notare come l’Italia resti un obiettivo simbolicamente molto più pagante di tanti altri, anche per la presenza del Vaticano, ragion per cui la “impunità” finora concessaci presto o tardi cesserà.
Intanto grande distribuzione, eventi e trasporti restano alcuni tra i settori maggiormente esposti.
I settori ad alto rischio: i trasporti
L’accoltellatore del treno di Norimberga ha riacceso prepotentemente i fari sul mondo delle aggressioni a bordo di veicoli del trasporto pubblico.
Che la spinta sia jihadista, solamente criminale o di rilievo psichiatrico poco importa: trovarsi a bordo di un veicolo in movimento ritarda l’intervento dei soccorsi, approfitta di una situazione spesso di relax emotivo e senz’altro giova di spazi confinati e ristretti.
Proprio in Germania, nel luglio del 2016 Riaz Khan Ahmadzai Muhammad Riyad, 17enne afgano, ferì a colpi di ascia una famiglia di Hong Kong che viaggiava serena a bordo di un treno nei pressi di Wurzburg: il giovane Khan, dopo aver ricevuto dall’imam di riferimento istruzioni per investire delle persone con un veicolo (vehicle ramming), obiettò di non avere la patente e non saper guidare, quindi mise in pratica le istruzioni divulgate da Isis via web e attaccò con un’arma da taglio, in quel caso pesante e a leva lunga.
Sebbene estraneo al terrorismo, lo stesso evento che ha interessato la metropolitana di Tokyo il 1° novembre ci racconta di un 24enne che riesce a ferire 17 persone con un coltello. Dalle immagini, peraltro, traspare il disagio del giovane, che paradossalmente lo ha fatto fermare spontaneamente fino a sedersi e fumare una sigaretta: con più perizia e determinazione, sarebbe stata una strage.
Insomma, il settore dei trasporti presenta fattori di rischio specifici e particolarità tali da imporre serie riflessioni e sempre maggiori risorse in vista della protezione di convogli, personale e viaggiatori, in una quotidianità caratterizzata da sempre maggiore aggressività diffusa, fino all’ipotesi terroristica.