Con sentenza n. 04699 pubblicata il 20 aprile 2022, la sezione Prima Ter del Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto il ricorso presentato da un sottufficiale dei carabinieri che si è visto rifiutare il rinnovo del porto di pistola per difesa personale, dopo averlo avuto per oltre vent’anni.
I giudici amministrativi hanno motivato l’accoglimento, argomentando che “l’Amministrazione ha omesso una esauriente valutazione sia della affidabilità del ricorrente, che detiene il porto d’armi da circa un ventennio senza rilievi, sia delle esigenze analiticamente prospettate. La Questura, peraltro, non evidenzia ragioni prevalenti tali da giustificare il diniego del rinnovo di una licenza reiteratamente rilasciata ad un appartenente all’Arma dei Carabinieri che, di fatto, potendo girare armato in quanto appartenente ad un corpo di polizia, chiede di essere autorizzato, mediante la richiesta licenza, a portare fuori dal servizio una arma più maneggevole e facilmente occultabile. Il diniego del 2018, fondato sul fatto che il servizio svolto presso la Compagnia Trionfale non lo esporrebbe ad uno specifico ed attuale rischio per l’incolumità personale, non tiene conto del ventennale servizio precedentemente svolto dal ricorrente in Calabria e del fatto che le minacce di cui è stato destinatario, ad opera degli esponenti di una associazione di tipo mafioso del territorio di provenienza, non possano ritenersi limitate all’ambito regionale. Nel caso in esame il ricorrente non ha chiesto la revoca del predetto diniego del 2018, ma ha inoltrato una nuova istanza dotata di una autonoma motivazione. La giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ha chiarito che nell’ipotesi di rinnovo della licenza di porto d’armi per difesa personale, l’Amministrazione, qualora opti per una diversa determinazione rispetto alle precedenti (in ogni caso, a seguito di congrua istruttoria), deve dare adeguatamente conto, nella motivazione dell’atto di diniego, dell’eventuale mutamento delle condizioni e dei presupposti (di fatto e soggettivi) che avevano dato luogo all’originario rilascio della licenza medesima (e al suo successivo rinnovo); ovvero, “posto che le esigenze di difesa personale del privato sono state riconosciute esistenti, qualora nulla cambi nelle circostanze di fatto poste a loro fondamento e non sopravvengano motivi ostativi all’uso dell’arma, l’Amministrazione è tenuta a motivare in modo puntuale le ragioni del diniego, evidenziando perché gli elementi in precedenza ritenuti sufficienti a giustificare il titolo non lo sono più, oppure quale diversa ponderazione sia stata effettuata tra l’interesse privato alla difesa e l’interesse pubblico al contenimento del numero delle armi in circolazione sul territorio” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 settembre 2015, n. 4520 riportata di recente in Tar Veneto I 811/2019). Vero è che nel caso di specie non si possa parlare di rinnovo in senso tecnico, ma è altresì evidente che il ricorrente ha avuto il titolo che oggi richiede per vent’anni fino al 2017 e che è comunque, per ragioni di servizio, in possesso di un’arma di ordinanza, circostanze che consentono di trasporre i suddetti principi anche al caso in trattazione. Non pertinente appare poi la prospettata possibilità che il ricorrente possa utilizzare l’arma di ordinanza, che lo stesso ha – con argomenti non contestati – affermato essere (per dimensioni e tipologia) poco consona all’utilizzo per il quale è stata richiesta la specifica licenza”.
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