Per quanto riguarda le armi da fuoco, e in particolare le armi da fuoco moderne, la legge è abbastanza chiara: per quelle comuni da sparo occorre una licenza di polizia (porto d’armi, nulla osta) per l’acquisto e occorre denunciarne il possesso. Per le armi da guerra, vige generalmente il divieto di detenzione, fatte salve le licenze di collezione rilasciate prima del 1975, musei e fabbricanti autorizzati.
Esistono, tuttavia, eccezioni a questa regola? In altre parole: esistono situazioni secondo le quali un’arma può “cessare” di essere un’arma, ai fini della legge, e diventare un semplice soprammobile, affrancato dalla specifica normativa vigente? La risposta è sì, anche se, come spesso accade, esistono numerose zone “grigie”.
Le armi disattivate
Partiamo dal caso tutto sommato più semplice, cioè quello delle armi disattivate. Il nostro ordinamento giuridico riconosce l’esistenza di una procedura tale per cui su un’arma vengono compiute una serie di operazioni volte a modificare tutte le parti principali, rendendole inefficienti. Quando queste operazioni sono compiute (da operatori professionali) e vengono certificate (appunto con il rilascio di un certificato di disattivazione che fa riferimento alla specifica matricola dell’esemplare), la legge riconosce che quell’arma… non è più un’arma e quindi non necessita di alcuna autorizzazione di polizia per il possesso. Ciò vale tanto per le armi comuni, quanto per le armi da guerra. In Italia, la procedura di disattivazione delle armi è stata gestita nel tempo tramite una serie di circolari emanate dal ministero dell’Interno (la prima nel 1972, l’ultima nel 2001), con le quali sono state indicate le operazioni tecniche necessarie per considerare “disattivata” un’arma. In generale, le circolari successive tenevano sempre valide le disattivazioni effettuate secondo le circolari precedenti, quindi in effetti per considerare “congrue” le operazioni di disattivazione di uno specifico esemplare rispetto al momento in cui è stato disattivato, basta verificare la data del certificato di disattivazione. Più di recente, per la precisione dall’8 aprile del 2016, è entrato in vigore il regolamento europeo 2015/2403 (vigente in tutti i Paesi dell’Unione), il quale ha disposto una serie di adempimenti tecnici omogenei per tutta l’area Ue: in sostanza le modifiche richieste alle armi sono molto simili a quelle della circolare italiana del 2001, ma in aggiunta a ciò, le operazioni di disattivazione devono essere certificate da un Banco nazionale di prova, che appone uno specifico punzone sulle parti principali, in aggiunta al certificato cartaceo. Anche in questo caso, tutte le armi che erano state disattivate in precedenza sono fatte salve dall’obbligo di adeguamento alle nuove prescrizioni, salvo il caso in cui vengano poste in vendita oppure trasferite in un altro Paese dell’Unione: in tali casi, occorre che prima vengano fatte adeguare alle prescrizioni attualmente vigenti. Le armi disattivate possono essere detenute senza alcun permesso di polizia né formalità, in quantitativo illimitato.
…e quelle non disattivate
La procedura di disattivazione delle armi serve, in sostanza, per fare in modo che un’arma possa essere considerata inefficiente in modo ufficiale e, quindi, possa essere detenuta, venduta, scambiata senza la necessità di verificare in concreto la sua efficienza. La certificazione di disattivazione funge da prova del fatto che quella non è più un’arma. Tuttavia, in concreto possono verificarsi casi nei quali un’arma, pur non essendo stata sottoposta al procedimento di disattivazione, sia nonostante questo, in concreto, disattivata. Pensiamo a un’arma che sia stata 80 o anche 100 anni sotto terra e sia ridotta a un grumo di ruggine, o a quelle armi che vengono passate sotto la pressa dai Cerimant per la demolizione o, in generale, a quelle armi che, per vetustà, guasti importanti eccetera, non siano ripristinabili con semplici riparazioni. Questa linea di interpretazione è quella seguita ormai da anni dalla giurisprudenza della Cassazione, la quale ancora recentemente, in una sentenza (n. 30367 del 12 luglio 2023) ha confermato che “affinché si possa escludere la qualificazione di “arma” è necessario che si tratti di uno strumento divenuto ormai totalmente ed irreversibilmente inefficiente. In tal caso, viene definitivamente a mancare quella situazione di pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumità, che rappresenta l’oggetto giuridico delle fattispecie in materia di armi. Allorquando invece l’arma – pur se all’attualità non funzionante – si presenti agevolmente riparabile, così potendosene ripristinare l’originaria attitudine lesiva, essa non perde la qualifica propria di “arma” (si vedano, sul punto, Sez. l, n. 3696 dei 04/02/1983, Marchesan, KV. ID0000 e Jez. l, n. 35648 del 04/07/2008, Saitta, Rv. 240677, a mente della quale: «Ai fini della configurabilità di un’arma come tale, è necessario che essa non risulti totalmente e assolutamente inefficiente, poiché solo in tal caso viene a mancare quella situazione di pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumità che costituisce la “ratio” della disciplina vigente in tema di detenzione e porto illegale di armi. Ne consegue che, l’arma non perde tale qualità solo qualora, pur essendo guasta o priva di pezzi, anche essenziali, sia comunque riparabile con pezzi di ricambio o anche con altri accorgimenti in mancanza dei pezzi originaii»; in senso conforme si sono in seguito espresse Sez. 1, n. 16638 del 27/03/2013, Farciglia, Rv. 255686; Sez. 1, n. 28796 del 04/06/2018, Contaldo, Rv. 273297; Sez. 1, n. 18218 del 06/03/2019, Romano, Rv. 275465)”.
Ovviamente sul concetto di “facilità di riparazione” si apre un universo di sfumature grigie che, in sostanza, può rendere molto difficile a un singolo cittadino capire se l’oggetto in questione sia effettivamente considerabile da “tutti” come disattivato “di fatto” oppure no. In questi casi, l’unica circostanza che può risultare dirimente è un esame da parte di un perito del tribunale, che certifichi l’impossibilità di ripristino del funzionamento dell’arma con le normali attrezzature e conoscenze disponibili.
Le armi antiche
Per le armi antiche vige lo stesso discorso, con la differenza tuttavia che il concetto di inefficienza “di fatto” non è di origine giurisprudenziale, bensì è stato rappresentato in un testo di legge, più precisamente nella legge 36/90, che all’articolo 5 dice: “La detenzione, la collezione ed il trasporto di armi antiche inidonee a recare offesa per difetto ineliminabile della punta o del taglio, ovvero dei congegni di lancio o di sparo, sono consentiti senza licenza o autorizzazione”.
Anche in questo caso, resta tuttavia il problema di come fare a qualificare come “ineliminabile” il difetto dell’arma e, anche in questo caso, in pratica l’unico soggetto che possa fornire un riscontro ufficiale in merito è un perito del tribunale.