Con sentenza n. 07264 del 27 dicembre 2023, la sezione quinta del Tar della Campania ha accolto il ricorso presentato da Andrea Carlo Francesco Alfonso D’Avalos, ultimo discendente della famiglia nobiliare dei D’Avalos, per annullare il divieto di detenzione d’armi e la revoca del porto di fucile per Tiro a volo operati rispettivamente dalla prefettura e dalla questura di Napoli, nei suoi confronti, in seguito a una procedura per lo sfratto dal palazzo storico di famiglia. Secondo il dispositivo della sentenza, la vicenda ha inizio con la procedura esecutiva di sfratto: “Tra i partecipanti alle operazioni di sfratto, in base a quanto riferisce parte ricorrente, vi erano otto agenti di pubblica sicurezza pesantemente equipaggiati che, pur non avendo avuto motivo di ricorrere alla forza per convincere il ricorrente a mostrarsi collaborativo, trasmettevano alla Procura della Repubblica di Napoli un verbale contenente, in tesi, un’esposizione dei fatti “molto soggettiva e poco attendibile” volta ad individuare eventuali reati di cui lo sfrattato si sarebbe reso responsabile, oltre che a giustificare l’ingente mobilitazione di personale. Tale relazione non trovava seguito in alcuna successiva iniziativa della Procura. Solo a distanza di diversi mesi, il Commissariato di P.S., cui i citati agenti appartenevano, trasmetteva alla Prefettura la proposta di adozione del divieto di detenzione di armi per il d’Avalos sulla base della sua ritenuta inaffidabilità, per non aver collaborato con le forze dell’ordine durante lo sfratto e non aver tantomeno denunciato il trasferimento dell’arma prima dello sfratto.
La Prefettura di Napoli accoglieva tale proposta e conseguentemente il ricorrente cedeva l’arma, dando pronta comunicazione di tanto all’autorità di pubblica sicurezza. Il Questore di Napoli prendeva atto del predetto decreto del Prefetto e revocava il porto d’armi precedentemente rilasciato, motivando sulla non affidabilità del soggetto e ritenendo inutile qualsiasi contraddittorio con il predetto”.
I giudici hanno accolto il ricorso, argomentando che “i provvedimenti gravati, oltre ad essere stati adottati in mancanza di un necessario contraddittorio con il destinatario, mancano di riferimenti ad elementi fattuali di carattere obiettivo e in concreto utili a dimostrare l’imperativa necessità di neutralizzare un realistico possibile pericolo per la pubblica incolumità. Il decreto con cui il Prefetto della Provincia di Napoli ha vietato al ricorrente la detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente, ed il successivo decreto con cui il Questore di Napoli, in autotutela, ha revocato la licenza di porto di fucile per uso sportivo – risultano essere, difatti, il risultato di una sommaria istruttoria che, oltre a non aver, ingiustamente, dato spazio ad alcun apporto partecipativo del d’Avalos, si appiattisce su una relazione della forza di Pubblica Sicurezza, formulata in occasione della procedura di sfratto, parimenti laconica e fortemente suppositiva.
Come risulta da consolidata giurisprudenza sul punto, pur riconoscendosi un rilevante margine di discrezionalità della Pubblica Amministrazione, il pericolo di abuso delle armi che legittimerebbe provvedimenti restrittivi della propria situazione giuridica deve essere puntualmente comprovato e motivato da concreti elementi fattuali che possano far realisticamente temere per l’incolumità pubblica e che diano altresì conto della personalità del soggetto sospettato (ex multis: T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 1 giugno 2017 n. 994; T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, 23 gennaio 2017 n. 97).
Quest’ultima, peraltro, non può commisurarsi al singolo episodio, ma deve essere auspicabilmente analizzata l’intera vita sociale e di relazione dell’interessato ed, in particolare, la gravità e la reiterazione dei singoli episodi che potrebbero far dubitare sulla diligenza e moralità di questi. (Cons. di Stato, sez. III, 9 giugno 2014, n. 2907; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 8 gennaio 2018, n. 114). Nel caso di specie tale pericolo non è dato ravvisarsi. Gli episodi posti a fondamento degli atti amministrativi impugnati sono privi del disvalore sociale con cui vengono invece connotati. Primariamente si contesta un atteggiamento non collaborativo del d’Avalos che quasi avrebbe intralciato il procedimento esecutivo, di per sé condotto pacificamente a termine. Il primo non solo non si sarebbe fatto trovare in loco nei precedenti tentativi di sfratto ma, al tentativo di esecuzione, anche se presente, non avrebbe risposto ai ripetuti richiami citofonici, costringendo l’esecutore a forzare l’entrata. Come si evince dai molteplici documenti depositati, l’immobile in questione, di grandi dimensioni e particolarmente antico, non risulta essere in ottime condizioni manutentive, al punto da non consentire l’abitabilità dello stesso. Per questo motivo, evidenzia parte ricorrente, differentemente da quanto prospettato nel verbale degli agenti di P.S., lungi dal voler coscientemente “non farsi trovare in casa in occasione dei tre precedenti tentativi di sfratto” – peraltro non idoneamente pubblicizzati a differenza dell’ultimo – il d’Avalos non abitava il Palazzo ma presso la casa della di lui compagna, dove peraltro trasferiva l’arma di cui si vietava la detenzione. Per le medesime condizioni di fatiscenza dell’immobile, è sicuramente verosimile la circostanza per cui un impianto citofonico altrettanto datato non avrebbe permesso allo sfrattato di avere cognizione della presenza degli esecutori qualora si fosse trovato distante dalla porta di ingresso di un immobile esteso su una superficie di oltre 3.000 m.q. Tale elemento di fatto, unitamente al mancato utilizzo del recapito telefonico in possesso della maggior parte degli intervenuti e alla mancata contestazione da parte della resistente, non permette di porre realisticamente in dubbio la presunzione di correttezza e buona fede del d’Avalos. Parimente può dirsi in relazione al secondo motivo sulla base del quale questi veniva classificato come soggetto “socialmente pericoloso”. L’inaffidabilità sociale scaturirebbe, secondo l’Amministrazione, dalla mancata denuncia del trasferimento dell’arma il giorno prima dello sfratto. Tuttavia, come del resto evidenziato dalla stessa Procura di Napoli – che conseguentemente procedeva all’archiviazione del caso – il ricorrente, nel rispetto dell’art. 38 del R.D. 773/1931 che prescrive la comunicazione del trasferimento nel tempo massimo di 72 ore da quest’ultimo, legittimamente notiziava gli agenti durante la stessa procedura di sfratto nel termine indicato.
Alla luce di quanto detto, non permangono dubbi sulla natura meramente speculativa delle valutazioni verbalizzate dagli agenti di P.S. che da tali neutrali e legittimi comportamenti fanno discendere plurime congetture, tra le quali, esemplificativamente, il pericolo per una “potenziale aggressione … anche con l’utilizzo dell’arma” del d’Avalos, giustificata dal mero possesso della stessa, aggravata dalla presenza di “porte/vetro costituenti facili punti di osservazione per la commissione di operazioni in danno degli operanti”; o ancora la presenza nel giardino di lattine forate e di pallini impiegati in ipotetiche sessioni di utilizzo di armi ad aria compressa. Per ultimo ma non in ultimo luogo, i provvedimenti gravati difettano della necessaria partecipazione procedimentale del ricorrente. L’assenza di questa, infatti, non può essere giustificata dalla presunta situazione di urgenza in presenza della quale i menzionati decreti venivano adottati; sia perché, evidentemente, nessun pericolo era dato ravvisare ed altresì poiché, alla luce del rilevante periodo di tempo di sei mesi trascorso fra lo sfratto e l’adozione dei provvedimenti impugnati, si sarebbe vanificata in concreto ogni astratta ipotesi sulla sussistenza di ragioni d’urgenza”.