L’Africa muore… di turismo

I Safari fotografici sono diventati talmente numerosi da costituire un serio problema per la fauna selvatica africana: carnivori ed erbivori sono sottoposti a un elevatissimo stress, tanto che si sta pensando di correre ai ripari

Sul The Wall street journal è riportata una notizia che ribadisce quanto da noi osservato da molti anni: i tanto decantati Safari fotografici stanno devastando intere zone dell’Africa, proprio dove si vorrebbe mantenere inalterata la fauna e il territorio. Ovvero i suoi parchi più iconici. Tanto per fare un esempio nel Masai Mara national reserve in Kenya, l’imponente pressione delle tante carovane di turisti armati, è proprio il caso di dirlo, di smartphone e reflex sta cambiando le abitudini naturali della fauna stessa. Infatti determinati predatori, come le iene, ormai sono solite seguire i van con turisti perché hanno capito che si stanno dirigendo verso un luogo dove sono state avvistate predazioni di leoni o leopardi, quindi carne disponibile. Nel caso dei ghepardi, invece, il viavai di tutti i pulmini spesso inibisce o vanifica gli avvicinamenti cauti di questi animali che dovrebbero consentire loro poi, con un rapidissimo inseguimento, di predare ciò che stanno monitorando. Si pensi che nel suddetto parco operano circa 200 “Safari” Camp, che accolgono circa 300.000 visitatori l’anno. La competizione tra gli autisti dei vari pulmini è elevatissima, anche perché un buon giro procura più mance e prestigio per chi li sa condurre. Spesso, dichiara sempre il Journal, attorno a una singola scena di predazione o tentativo di predazione, ci sono anche 100 veicoli che vanno e vengono, tutti mirati a cogliere la scena e spostarsi subito su un altro terreno nel quale si abbiano notizie di altrettante predazioni. Lo stress per la fauna è enorme, carnivori ed erbivori: si sta infatti pensando di stabilire un numero massimo di visitatori, aumentare le tasse d’ingresso, cambiare le campagne di marketing e le regole che vengono continuamente infrante. È singolare poi che in uno Stato come il Kenya, osannato dalle varie sigle animaliste per la chiusura negli anni Settanta del XX secolo della caccia, durante le nostre permanenze è sempre stato possibile mangiare in tutti i ristoranti della capitale ogni tipo di animale selvatico. Tutti morti di vecchiaia? In verità si è voluto investire sul turismo di massa disinteressato all’Africa, ma dedito solo agli scatti da mostrare agli amici per una volta e poi seppellire in qualche cassetto o nella memoria del proprio device. I resort danno ricchezza a pochissime persone che ci lavorano, lasciando interi territori marginali vuoti da introiti perché non interessanti per il turismo comodo da scarrozzare in giro e aperitivizzare davanti al tramonto. Oltretutto molte di queste città nel deserto appartengono a multinazionali estere, che prendono e portano via, lasciando ancora una volta l’Africa predata nella maniera peggiore.