Per ovviare ai problemi interpretativi della direttiva 2017/853 sulla marcatura delle armi, è stato emanato un nuovo documento applicativo che… lascia i medesimi dubbi di prima!
All’inizio del 2019 (più precisamente il 17 gennaio) sono state pubblicate sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea due distinte direttive di esecuzione, in conseguenza dell’entrata in vigore (il 13 giugno 2017) della direttiva “antiterrorismo” 2017/853: una di queste direttive di esecuzione si occupa delle specifiche tecniche per la costruzione delle scacciacani, l’altra invece, ed è quella che più ci interessa, si occupa delle specifiche tecniche per la marcatura delle armi da fuoco e loro componenti essenziali. Come è noto, infatti, una delle preoccupazioni dei politici che hanno messo a punto la direttiva 2017/853 è stata quella di rafforzare la tracciabilità delle armi, prevedendo ben precisi oneri di marcatura da parte dei produttori, a carico di ogni singola componente essenziale. Poiché, però, il testo della direttiva in sé è tutt’altro che chiaro in proposito, all’inizio del 2018 è iniziata una serie di audizioni con i portatori di interessi dell’industria austriaci, belgi, francesi, tedeschi e italiani, i quali giustamente hanno richiesto all’ufficio legale della Commissione europea una serie di indicazioni sull’interpretazione da fornire al riguardo della marcatura, considerando per esempio sia quali parti esattamente fossero da contrassegnare sull’arma assemblata (tutte? Alcune? Quali?), sia quali caratteri e dimensioni fossero da utilizzare per la marcatura, specialmente considerando le componenti più piccole e con superfici meno regolari. I produttori avevano per esempio suggerito che, a fini di omogeneità, si adottasse la procedura di marcatura già in uso negli Stati Uniti, così come predisposta dall’Atf (Bureau of alcohol, tobacco and firearms). Avevano anche chiesto che il marchio registrato del produttore potesse essere considerato equivalente al nome completo dell’azienda, e che sui fusti polimerici fosse possibile mettere la sola matricola sulla piastrina metallica annegata, apponendo invece gli altri dati sul polimero.
Tutte queste indicazioni sono state raccolte dalla Ieacs (Institut europeen des armes de chasse et de sport), l’organismo europeo di rappresentanza dei produttori, e sono state sottoposte in un unico documento in una serie di incontri informali con la Commissione europea e i singoli rappresentanti degli Stati membri, per cercare di ottenere una interpretazione univoca che consentisse di salvaguardare le legittime esigenze di tracciabilità (già peraltro ampiamente garantite con la normativa precedente) consentendo, però, al contempo ai produttori di risolvere i molti problemi tecnici che si sono venuti a creare con questa disposizione legislativa. Gli incontri sono stati svolti fino a ottobre, ma purtroppo la bozza di direttiva di esecuzione ha apparentemente ignorato le richieste dei produttori.
Alla fine, il documento approvato e promulgato è un “non documento”, nel senso che non fornisce indicazioni chiare e soprattutto univoche sulla procedura di marcatura. Per esempio, non è prescritta una profondità minima dell’incisione dei dati (cosa che invece era stata richiesta dai produttori, suggerendo di adottare il sistema statunitense), poi mentre da un lato si stabilisce una dimensione minima della marcatura di “almeno 1,6 mm”, si precisa però immediatamente dopo che “Ove necessario, per la marcatura di componenti essenziali che sono troppo piccoli per essere provvisti di marcatura in conformità all'articolo 4 della direttiva 91/477/CEE può essere utilizzata una dimensione dei caratteri inferiore”. Quanto inferiore? E quanto piccoli devono essere questi pezzi? Questo è lasciato alla discrezione degli Stati membri! Stesso discorso per la marcatura dei fusti polimerici: da un lato si prescrive che la marcatura debba essere apposta su una targhetta metallica incorporata in modo permanente nel telaio, ma dall’altro si precisa subito dopo che “Gli Stati membri possono anche consentire l'uso di altre tecniche per la marcatura di tali telai o fusti, a condizione che dette tecniche garantiscano un livello equivalente di chiarezza e permanenza della marcatura”. Anche qui, occorre chiedersi chi sia preposto a stabilire se il livello di chiarezza e permanenza della marcatura sia effettivamente “equivalente”.
“Questo porta a una mancanza di armonizzazione che può portare a limiti, fraintendimenti e divieti nella circolazione delle armi in ambito europeo, e danneggiare la concorrenza”, ha commentato il presidente della Ieacs, il belga Thierry Jacobs. Considerando che lo scopo originario della prima direttiva sulle armi in ambito europeo, la 91/477 (della quale la 2017/853 è un emendamento) era proprio quello di consentire una armonizzazione delle differenti normative nazionali per agevolare la circolazione di beni e servizi nello spazio Ue, si può senz’altro affermare che il risultato sia quantomeno discutibile e decisamente contrario allo spirito originario del legislatore.
Sono circa 2 milioni le armi destinate al mercato civile (per la caccia, lo sport, la difesa personale) prodotte annualmente nell’ambito dell’Unione europea. I produttori di armi e di munizioni sono 1.800 circa, ai quali vanno aggiunti 200 distributori e 14 mila dettaglianti. I cittadini possessori di armi nell’Unione europea sono oltre 12 milioni, ai quali vanno aggiunti coloro i quali sono in possesso di una licenza di collezione che, da soli, sono oltre 300 mila.
Il fatturato complessivo generato su base annua nella Ue con la produzione di armi civili è di oltre 40 miliardi di euro, e di oltre 580 mila posti di lavoro (fonte: Ieacs).