Un poliziotto è stato ucciso a coltellate a Bruxelles. L’assalitore sarebbe un uomo di 32 anni, già presente nella banca dati dei potenziali estremisti violenti. Intorno alle 19,15 nei pressi della Gare du Nord, una delle principali stazioni ferroviarie della città, ha aggredito una pattuglia della polizia uccidendo un agente, prima che l’intervento di una seconda pattuglia riuscisse a neutralizzarlo.
Nel 2017 sempre a Bruxelles un estremista somalo aveva attaccato due militari con un machete.
Perché gli operatori della sicurezza sono un target primario?
Fondamentalmente perché rappresentano le istituzioni e lo strumento che garantisce il rispetto di quelle regole che, al contrario, qualsiasi movimento eversivo mira a destabilizzare, con l’obiettivo finale di sostituirle con il proprio personalissimo concetto di Stato.
Sulla strada che conduce a questo obiettivo finale è evidente, inoltre, che dimostrare la vulnerabilità di chi è chiamato a proteggere il territorio e i cittadini lancia un segnale fortissimo di vulnerabilità dell’intero sistema-Paese. Insomma, se sono in grado di colpire chi deve proteggerci i messaggio di insicurezza che arriva alla popolazione è forte e chiaro.
Perché il coltello?
Indubbiamente, al pari di altri suoi impieghi criminosi, perché il coltello è strumento facilissimo da reperire, immediato da occultare ed è in grado di causare danni enormi anche nelle mani di persone che non abbiano alcuna specifica perizia nel suo impiego mentre, per contro, può essere virtualmente impossibile da difendere anche da parte di chi abbia speso del tempo nel cercare risposte a come poter gestire un primo attacco.
Non ultimo, nel simbolismo che appartiene al mondo jihadista, il coltello e comunque l’utilizzo di strumenti da taglio eventualmente fino al distacco completo del capo della vittima, risponde a un preciso rituale, perpetrato nel solco di presunte tradizioni e, comunque, dotato della indubbia capacità di impressionare per la sua estrema violenza. Non dimentichiamo, infatti, che i più recenti player del jihadismo hanno dimostrato grandi capacità nell’uso della comunicazione e sanno bene che una singola azione, di un solo attentatore, che però voglia impressionare un grandissimo numero di persone può contare su un gesto cruento che, benché dalla portata limitata, viene buttato in faccia a tutto il mondo tramite un sapiente impiego della comunicazione e dell’utilizzo della rete web.
Proprio parlando di comunicazione non va dimenticato che, ormai da molti anni, Daesh per esempio divulga materiale informativo sotto forma di infografiche, video e anche riviste. Non possiamo dimenticare tra queste il secondo numero della rivista che all’epoca si chiamava Rumiyah, che conteneva un inserto dedicato in modo specifico agli attentati da portare a mezzo del coltello. Veniva descritto con precisione, quindi, quale criterio impiegare per la scelta della lama, come scegliere l’obiettivo giusto e, per i meno esperti, come colpire con il coltello per ottenere il massimo impatto offensivo.
In questo modo si sono garantiti di poter fornire indicazioni utili anche a soggetti, sparsi per il mondo, con i quali l’organizzazione terroristica non ha mai avuto alcun rapporto, spesso né diretto né indiretto, magari poiché auto-radicalizzatisi proprio a furia di leggere riviste e guardare video incitanti al terrore. L’uso di un coltello, infatti, non richiede per forza che vi siano contatti diretti tra l’attentatore ed una realtà terroristica, poiché non vi è alcun bisogno di fornire strumenti offensivi ben più difficili da reperire, come armi da fuoco ed esplosivi.
Quest’ultima ipotesi, spesso verificatasi in passato, rappresenta inoltre un incredibile vantaggio strategico per l’organizzazione terroristica, perché consente di godere dell’operato anche di persone che per gli inquirenti sarà impossibile collegare effettivamente ad una o altra organizzazione.
La lunga scia di sangue degli operatori della sicurezza
Si allunga così la lista di operatori in uniforme finiti sotto le coltellate di estremisti. Dal militare britannico Rigby colpito nel 2013 fino all’operatore di Bruxelles caduto ieri, è infatti lunga la lista degli operatori della sicurezza finiti nel mirino di attacchi con il coltello, a riprova del fatto che l’uniforme ed il suo portato simbolico restano un target primario. Francia, Olanda, Belgio, nord Europa, ma anche Usa e Canada presentano un triste primato.
Cosa si può fare?
La lunga lista di questa specifica tipologia di attacco ha tristemente dimostrato che il primo operatore che viene aggredito molto spesso non ha possibilità di rispondere in prima persona, né tantomeno prevenire l’attacco.
Le contromisure che vengono divulgate nelle aule di formazione prendono spunto dalla necessità di mantenere sempre alti livelli di attenzione (situational awareness), di rispettare precisi protocolli di approccio con gli interlocutori, a partire dal mantenimento di una distanza minima di sicurezza, fino alla necessità di apprendere comunque qualche efficace gestualità che potrebbe essere di aiuto nel limitare i danni durante i primi momenti dell’aggressione.
Ciò non toglie che, dati alla mano, gli operatori sopravvissuti al primo assalto devono la vita alle protezioni che indossavano. Tessuti anti-taglio, corpetti anti-penetrazione ed attenta analisi delle parti che è consigliabile coprire hanno salvato la vita, quanto meno nell’ultimo decennio, a tutti quegli operatori che, aggrediti per primi, sono sopravvissuti.
Come sempre la problematica va affrontata su più piani: sono efficaci le liste di “osservazione” di soggetti potenzialmente radicati o servono azioni più forti? E per chi non sia così noto e sul territorio da così lungo tempo, quanto ne sappiamo di chi, invece, non risulta mappato nemmeno come presente?
Nel frattempo la vita sulla strade è quella degli operatori: è ormai indispensabile, quindi, prendere in debita considerazione questa minaccia specifica nei loro confronti ed adottare ogni contromisura utile, dalla formazione teorica, a quella tecnico-operativa, fino alle dotazioni più opportune.