Quando un personaggio pubblico si espone alla folla, espone sempre e comunque la sua incolumità a rischi. Quando poi a esporsi è un primo ministro, i rischi aumentano in proporzione all’alto numero di soggetti e organizzazioni che possono essere interessati a una sua uscita di scena, o comunque a lanciare messaggi forti.
Quando, infine, il primo ministro in questione è uno dei pochi a mettersi di traverso rispetto ai “poteri forti” del momento, il numero di soggetti che possono beneficiare di un suo stop aumentano a dismisura.
La valutazione del rischio
Dunque, chi si occupa della sicurezza della sua persona è chiamato a fare una valutazione del rischio in termini generali (livello di esposizione a rischio in funzione della carica ricoperta, del preciso momento storico in cui ci si trova e così via) ed in termini di rischio specifico relativo al momento della vita preso in considerazione (quale tragitto compiere, quale mezzo impiegare, dove ci si troverà in un momento specifico, chi sarà presente, quali condizioni di sicurezza si rinverranno e moltissimi altri fattori), anche in relazione allo studio degli incidenti ed alla conoscenza e capacità di previsione delle forme in cui, in quella situazione, può presentarsi concretamente una minaccia.
L’analisi e valutazione del rischio che ne scaturisce possono, ovviamente, consigliare alcune modalità specifiche di gestione del momento, come per esempio la decisione di mantenere una precisa distanza dalla folla, di spostarsi a piedi oppure su di un veicolo, di rinunciare del tutto all’evento in esame e così via. Poi, ovviamente, il livello di sicurezza consigliato può essere accettato o stravolto dalle esigenze e dal volere del diretto interessato.
Il rischio che permane dopo aver applicato tutte le misure di prevenzione e protezione è chiamato rischio residuo. Poiché per definizione un rischio non può mai essere del tutto azzerato, il rischio che residua corrisponde al rischio accettato, vale a dire il livello di rischio che una persona, un’organizzazione o una società è disposta a tollerare o accettare in relazione a una determinata situazione o attività.
Quando la valutazione del rischio viene effettuata in relazione a un personaggio pubblico quale un protagonista della scena politica, è ovvio che le esigenze di sicurezza si scontrano con le contrapposte esigenza di visibilità, di presenza e di contatto con il pubblico, determinando un equilibrio tutt’altro che facile da individuare, anche perché in continua evoluzione e cambiamento nel tempo e nello spazio.
Procedure e competenze
Su queste valutazioni si innestano le procedure, affinate fino a generare automatismi tali per cui ogni operatore adotta comportamenti prestabiliti e l’intero dispositivo opera in sinergia.
Quanto al “cosa”, ciascuno, come è ovvio, ricopre un preciso ruolo, si occupa di specifici compiti, vigila su di un preciso settore dello spazio e così via. Quanto al “come”, ognuno dei soggetti coinvolti metterà in campo tutte le doti e skill individuali affinate nel tempo, come le tecniche di osservazione, screening della folla, accompagnamento e molte altre.
Cosa è accaduto?
Le immagini che riprendono i 5 colpi di pistola esplosi verso Fico, tre dei quali lo hanno raggiunto ferendolo gravemente, mostrano la discesa dall’auto e la sua camminata verso un gruppo davvero sparuto di persone, tra le quali vi sarà poi l’attentatore.
Lo scenario: davvero poche persone separate da una transenna aperta e che non avevano, a quanto pare, subito alcun controllo. Certo, non è possibile in pubblica via pensare a una identificazione di tutti i presenti e possiamo inserire questo dato nel concetto di “rischio accettato”. Con il senno di poi, inoltre, alcuni tra i presenti hanno riferito di aver notato l’attentatore Jurai Cintula perché, in un piccolo paese dove presumibilmente tutti si conoscono, hanno notato la presenza di un forestiero. Anche in questo caso, però, è davvero troppo pensare che in un piccolo paese possa aver funzionato un’opera di intelligence preliminare tale per cui il cittadino segnala alla polizia locale la presenza di un tale che, in fondo, è lì solo per acclamare il premier. Un’altra biglia nel pallottoliere del “rischio residuo”.
Il dispositivo: chi si occupa di scorte ritiene che nei precisi momenti dell’attentato gli uomini della scorta non occupassero con precisione le posizioni che avrebbero dovuto occupare e che la loro attenzione fosse scarsamente rivolta verso l’esterno.
Certo, un colpo di pistola può essere esploso comodamente stando qualche passo più indietro anziché in prima fila davanti alla transenna, ma la buona riuscita di un attentato si fonda sul cumulo di molti, talvolta piccoli, fattori.
Il diversivo: qualcuno tra i presenti ha riferito agli intervistatori presenti che Cintula avrebbe chiamato a sé Fico utilizzando il suo soprannome e che il premier gli si sarebbe avvicinato per questa ragione. Ecco, i fuori programma e le iniziative personali di chi viene scortato possono in questo senso aprire davvero le maglie di tutto l’impianto della sua protezione.
In conclusione
Pianificare e gestire la sicurezza di persone esposte per loro status a contatto con il pubblico non è facile e la concomitanza di tanti, piccoli fattori può preparare il terreno all’incidente.
L’incidente è proprio il punto di confine tra le prevenzione e la gestione della crisi che, in questi casi, storicamente si risolve nell’individuazione di un singolo attentatore: quanto basta per cambiare la storia politica di un paese o addirittura di un’intera epoca.
Lo sanno bene gli Usa, patria di democrazia e sicurezza, che in poco più di 200 anni di storia e 46 presidenze hanno avuto ben 4 presidenti assassinati durante la carica: dal tanto venerato Abraham Lincoln, raggiunto da colpi di pistola mentre assisteva a uno spettacolo teatrale al Ford’s Theatre di Washington, a James Garfield, ucciso nel 1881 sempre da colpi di pistola sparatigli da dietro a bruciapelo nella sala d’attesa di una stazione ferroviaria. Da William McKinley, ucciso nel 1901 in occasione di una sua visita all’Esposizione panamericana di Buffalo, durante la quale uno tra i presenti ha estratto un revolver nascosto in un fazzoletto e ha fatto fuoco, fino al celebre assassinio di John Fitzgerald Kennedy nel 1963.
Insomma, che si tratti di motivazioni politiche o di ragioni personali di cui una parte politica finisce per beneficiare, le lotte per il potere non hanno mai risparmiato colpi e vite, nemmeno in epoca moderna.