Benelli amplia lo stabilimento di Urbino. Lo spiega Paolo Viti, direttore dello stabilimento, in un’intervista concessa al Ducato, organo dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino (Ifg).
«L’ampliamento è stato una scelta importante per noi, perché ha confermato la volontà della holding Beretta di continuare a investire a Urbino. Cosa non scontata visto che ha tredici stabilimenti in tutto il mondo. Abbiamo la necessità di fare prodotti customizzati per i clienti e questo richiede più spazio. Ci saranno nuove assunzioni, ma gli investimenti riguarderanno principalmente macchinari ad alta tecnologia, automatizzati e capaci di produrre in efficienza. Possiamo puntare solo su qualità ed efficienza in Italia. È l’unica carta che abbiamo visti tutti i costi connessi alla produzione, più alti rispetto agli altri Paesi. Faccio un esempio: noi abbiamo chiesto di ampliarci già nel 2010 perché dopo la crisi del 2009 avevamo capito che era necessario aumentare la gamma di prodotti per conquistare nuove nicchie di clienti. L’autorizzazione, però, l’abbiamo avuta nel 2015, dopo 2000 giorni. In 2000 giorni oggi in Italia un’azienda fa in tempo a morire. Negli Stati Uniti è diverso: Beretta, per il suo nuovo stabilimento in Tennessee ha avuto gratuitamente il terreno. Ha costruito uno stabilimento di 40 mila metri quadrati in meno di due anni. Con questo ritardo nell’autorizzazione noi, invece, abbiamo perso sicuramente possibilità di sviluppo. La burocrazia è uno dei motivi principali per cui le aziende estere non investono in Italia».
In cosa consiste il progetto?
«Sarà costruito uno stabile contiguo a quello attuale. Ci sarà un nuovo ingresso con una scala che porterà ai nuovi uffici e all’area dedicata all’accoglienza clienti e alla zona produttiva. Sarà tutto vetrato, per dare un po’ di visibilità dall’esterno di cos’è la Benelli armi, visto che oggi sembra una scatola chiusa incastonata in questa valle. L’anno scorso avevamo creato un sentiero benessere per i nostri dipendenti, sempre nel’ottica di aprire l’azienda all’esterno. Parte dalla mensa e corre lungo il perimetro della fabbrica. L’abbiamo fatto per i lavoratori, ma anche perché la parte sul retro era franata. Nel 2013 abbiamo acquistato dal Comune di Urbino il terreno e lo abbiamo fatto sistemare al costo di 500 mila euro».
Quante persone lavorano nell’azienda e quante nell’indotto?
«Nel 2015, 300 tra dipendenti, interinali e consulenti, ma per noi lavorano altre mille persone tra Urbino, Fermignano e i paesi limitrofi. I contoterzisti sono tutti della zona, mentre i grossi fornitori delle parti importanti dell’arma sono della bresciana Val Trompia, il distretto delle armi italiano».
Che risultati avete ottenuto nel 2015? Quali sono i mercati principali?
«È stato uno dei nostri anni migliori a livello di bilancio. Il nostro record di produzione è stato il 2013, con 230 mila armi prodotte. Il nostro primo mercato rimangono sempre gli Stati Unito. Per anni il nostro secondo maggior mercato è stato la Russia, ma nel 2015 l’abbiamo persa per oltre il 50% a causa dell’embargo per la crisi in Ucraina ed è passato al quinto posto. Abbiamo potuto esportare solo le armi già pagate e con licenza di esportazione. L’italia quest’anno è tornata al secondo posto ed è stato l’unico mercato in crescita, quindi c’è stata una buona ripresa. Poi abbiamo Canada, Francia, Russia e la Spagna».