Calendari venatori: il caso Lombardia serva da riflessione

Il ricorso delle associazioni animaliste contro il calendario venatorio lombardo evidenzia alcuni importanti punti fermi utili anche nelle altre regioni, ma serve un cambio di mentalità

Riceviamo e pubblichiamo la riflessione svolta dall’avvocato (e past president Assoarmieri) Antonio Bana, attivo in prima persona nelle annose questioni dei ricorsi da parte delle associazioni animaliste ai calendari venatori, in concomitanza dell’inizio della stagione venatoria.

 

Calendari venatori, piani di prelievo, operazioni di eradicazione di fauna alloctona o interventi di “controlloex art. 19 L.157/92 sono gli oggetti sui quali frequentemente si scagliano gli attacchi giudiziari degli animalisti, o dei sedicenti ambientalisti, ma in buona sostanza di tutti coloro che, al riparo di schermi associativi più o meno trasparenti, trovano modo di manifestare la propria intransigente ideologia anticaccia.

Converrebbe forse dire con “documenti alla mano”, che le azioni giudiziarie normalmente intraprese (ricorsi avanti gli organi di giustizia amministrativa: Tar in primo grado e Consiglio di Stato in appello) oppure le varie attività stragiudiziali (diffide, accesso agli atti, interrogazioni parlamentari, richieste di intervento di organi e istituzioni comunitarie o internazionali) o penali (denunce ed esposti presso le varie Procure d’Italia) costituiscono in tutto e per tutto un vero e proprio stalking eseguito a carico delle amministrazioni e uffici preposti alla gestione faunistico-venatoria. Se si vuole migliorare eventualmente il sistema in modo costruttivo e collaborativo questa non è la strada percorribile.

Basti pensare a quanto accade fuori dall’Italia a opera di analoghe associazioni e simili movimenti, che vengono generalmente definiti verdi e che, comunque, conseguono risultati a volte fastidiosi o restrittivi verso la pratica venatoria. Certamente tra questi, all’estero, non compare per esempio il Wwf, che a livello internazionale concepisce la caccia come “an appropriate wildlife management tool” (un appropriato strumento per la gestione faunistica), oppure che persino promuove la creazione di game reserve (riserve di caccia) proprio allo scopo di ottenere la miglior protezione e conservazione della fauna selvatica.

 

Prendiamo solo a esempio quanto segue.

A fronte del puntuale ricorso stagionale della Lac (Lega per l’abolizione della caccia) e di altre associazioni “vittime della caccia” sul calendario venatorio lombardo, a seguito di un buon lavoro in equipe, è stato possibile replicare (come già fatto in passato), smentendo un cliché utilizzato su tutto il territorio nazionale. Si è più volte sostenuto ribadendo che:

  1. la problematica dei piani faunistici “scaduti”, in quanto l’art. 14 comma 7 della L. 157/92 dispone che le regioni provvedono ad eventuali modifiche o revisioni del piano faunistico-venatorio con periodicità quinquennale, e quindi non può dirsi decaduto o inesistente un piano faunistico venatorio che semplicemente non è stato eventualmente aggiornato. Per giunta, nessuna disposizione di legge vieta l’esercizio della caccia programmata, subordinandolo a una previa pianificazione venatoria;
  2. l’affermazione, fasulla, secondo la quale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella decisione del 4 maggio 2010 avrebbe stabilito che se il piano faunistico non è assoggettato a procedura di Vinca (valutazione d’incidenza ambientale) la caccia sarebbe automaticamente vietata nelle aree “Natura 2000” (Sic e Zps): non sto a ripercorrere i vari passaggi perché ormai noti a tutti;
  3. le conseguenze sulla promulgazione del calendario venatorio oltre il termine del 15 giugno di cui all’art. 18 comma 4 1. 157/92. Termine che rimane “ordinatorio” e non “perentorio”, nel senso che alcuna conseguenza si può produrre in caso di suo travalicamento, anche dopo la decisione Corte cost. n. 20/12, che nulla ha aggiunto sul punto;
  4. l’invocazione reiterata della decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia dell’8 giugno 2012 n. 510/2012 e del Tar Palermo n. 546/2011, sempre in ordine alla problematica dei piani faunistici venatori, che recano soltanto la scontata affermazione secondo la quale in presenza di un piano faunistico venatorio non sottoposto a valutazione di incidenza, debbano esserlo i calendari venatori che autorizzino la caccia nelle Zps od in zone limitrofe ad essi ed ai Sic, in maniera da scongiurare effetti negativi su tali siti protetti.

Quale soluzione?
Come possiamo fare a far sopravvivere l’attività venatoria e tutto il mondo economico che ruota intorno, con intere famiglie di piccole e medie imprese che lavorano assiduamente nel totale rispetto di ogni norma di legge?

Dobbiamo tutti cambiare mentalità, a patto che si usi competenza in tutte le sedi opportune: dalla redazione degli atti amministrativi alla difesa nelle sedi giudiziarie.

Circostanza sempre più di frequente sconfessata, sempre a danno della caccia, quella sana, corretta, che conosce veramente la natura e l’ambiente circostante.