Forse neppure Salvatore Carcano, artefice del nostro fucile modello 1891, avrebbe immaginato che il suo progetto arrivasse così lontano. Invece, un piccolo pezzo dell’Italia armiera raggiunse, prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, addirittura le coste del Giappone, contribuendo a scrivere una pagina della storia delle battaglie del Pacifico.
Facciamo un passo indietro di 66 anni: è il 6 novembre 1937 e l’Italia entra a far parte del patto anti Comintern, firmato l’anno precedente tra Germania e Giappone. È la nascita del cosiddetto “patto tripartito”, anche chiamato “asse Roma Berlino Tokio” o, più semplicemente, “Roberto”, dalle iniziali delle tre capitali. Da quel momento, i tre Paesi hanno stipulato un patto di mutua alleanza e collaborazione, in contrapposizione con i Paesi comunisti (principalmente l’Urss).
Pochi mesi dopo, rappresentanti della marina da guerra nipponica arrivarono in Italia, per commissionare alle nostre fabbriche armiere la realizzazione di un fucile destinato ad armare le truppe: bisogna ricordare, infatti, che la marina e l’esercito giapponesi, sempre in perpetua concorrenza, erano pressoché autonomi nell’approvvigionamento degli armamenti.
Il fucile fu realizzato, a quanto pare, da un pool di aziende private e arsenali militari: tra le prime figurano la Fna di Brescia e la Beretta di Gardone Val Trompia (Bs), tra i secondi l’arsenale di Terni e quello di Gardone Val Trompia.
A quanto sembra, l’arsenale di Terni curò la progettazione e i rapporti con la delegazione giapponese, nonché la produzione delle canne, mentre le restanti parti furono realizzate dagli altri fabbricanti.
Il problema principale è che la quasi totalità dei fucili superstiti è del tutto sprovvista di marchi di identificazione, fatta eccezione per la matricola. Solo i fucili fabbricati dalla Beretta hanno, talvolta, un punzone con le lettere “PB” sormontate dalla corona, mentre alcune minuterie risultano stampigliate “Fna”, “Fat” oppure “Fag”. Qualche alzo risulta anche marcato “Gnutti”, azienda che era nota, più che altro, per la costruzione di baionette.
In conseguenza di ciò, risulta molto difficile ripartire la produzione totale in quote e non vi è accordo neppure sul totale di esemplari prodotti. La maggior parte degli studiosi, infatti, è concorde nell’attribuire agli arsenali una produzione totale di 60.000 fucili ma, come sempre accade, i conti non tornano: le matricole, infatti, sono rappresentate da una lettera dell’alfabeto seguita da quattro cifre.
Ebbene, i fucili osservati partono dalla serie “A” per finire alla serie “L”, includendo anche le lettere “J” e “K”. Sono, quindi, dodici lettere, corrispondenti a 120.000 armi. Se, inoltre, consideriamo una serie matricolare iniziale sprovvista di prefisso letterale (di cui abbiamo osservato almeno un esemplare), si arriva a 130.000 pezzi in totale.
Il lotto fu completato, a quanto pare, tra il 1938 e il 1939, raggiungendo poi il Giappone. L’utilizzo operativo dell’arma fu, a ben vedere, piuttosto marginale, considerando che la quasi totalità degli esemplari superstiti è in eccellenti condizioni di conservazione. Alcuni fucili, comunque, sono stati catturati da soldati americani in zona di operazioni (Okinawa, Iwo Jima, Luzon), il che garantisce sull’effettiva distribuzione alle truppe di prima linea.
Per un occhio distratto, il fucile Tipo I è difficilmente distinguibile da un normale Arisaka Tipo 38: osservandolo più da vicino, però, si nota qualcosa di irrimediabilmente familiare: l’azione, infatti, non è quella di un normale Arisaka, ma è quella del nostro fucile modello 1891, opportunamente adattata.
L’otturatore, girevole scorrevole, ha due alette in testa che si inseriscono in appositi recessi nell’azione per mezzo della rotazione di 90° del manubrio. La sicura è quella tipica del ’91, a “tubetto con nasello”, già utilizzata da Carcano sui fucili ad avancarica “ridotti” a retrocarica (con accensione ad ago e cartuccia combustibile) poco prima di Porta Pia.
Confrontando l’otturatore del Tipo I con quello di un 91/41 si osserva la quasi perfetta identità dimensionale: i due pezzi non sono, però, intercambiabili, sia per la differente conformazione della faccia dell’otturatore (il fondello della 6,5 mm Arisaka è leggermente più largo di quello della nostra 6,5×52), sia perché l’espulsore è posto in posizione più centrale sul Tipo I e, quindi, la scanalatura nell’otturatore destinata a consentirne il passaggio è più spostata verso la mezzeria.
Profondamente modificata (e, a nostro avviso, migliorata), rispetto alla nostra ordinanza, l’alimentazione: il fucile 1891, infatti, si avvale di un serbatoio Mannlicher a piastrina di sei cartucce, mentre il Tipo I ha un serbatoio fisso tipo Mauser, bifilare a presentazione alternata, della capacità di cinque cartucce.
L’elevatore ha una particolare sagomatura che, interferendo con l’ otturatore, impedisce la chiusura di quest’ultimo se non vi sono più cartucce, mettendo sull’avviso il tiratore.
La parte superiore del ponte posteriore di culatta presenta due fresature per l’appoggio della classica piastrina di caricamento tipo Mauser. Il fondello del serbatoio è fissato anteriormente da un incastro, posteriormente da una leva a bilanciere spinata al ponticello. Premendo l’estremità inferiore del bilanciere, si sgancia la soletta del serbatoio, scaricandolo in un attimo. La calciatura è a mezza pistola, con calciolo in ferro.
È significativo osservare che la pala del calcio è realizzata in due pezzi: questa modalità costruttiva è tipica delle armi giapponesi ed era applicata perché consentiva l’utilizzo di tavole di legno più piccole rispetto a quelle richieste per una calciatura tradizionale.
Non è chiaro il perché si sia deciso di applicare le procedure di fabbricazione nipponiche, evidentemente oggetto di precisa richiesta da parte del committente. L’unica spiegazione possibile è che, in caso di danneggiamento della parte inferiore della pala del calcio, ne sarebbe stata possibile la sostituzione direttamente in zona operazioni, attingendo ai ricambi previsti per i fucili Arisaka.
Altra curiosità, la calciatura del fucile Tipo I è stata realizzata con la pala di due differenti lunghezze, fatto piuttosto inconsueto nel panorama delle armi militari.
La canna è lunga 780 mm ed è solcata da quattro righe ad andamento destrorso. Poiché la cartuccia calibro 6,5 mm Arisaka ha un diametro inferiore a quello dell’ordinanza italiana (.261 pollici contro .268), eravamo curiosi di scoprire se fossero stati utilizzati i normali utensili per la rigatura delle canne del ’ 91 oppure se fossero stati approntati strumenti ad hoc.
Purtroppo, la mancanza di tempo ci ha impedito di eseguire calchi accurati dell’anima della canna, ma una verifica empirica con il calibro ha restituito un diametro tra i vuoti di 6,65 mm, pari a .262 pollici.
Gli organi di mira riprendono la tradizione giapponese, discostandosi profondamente dallo standard italiano. Il mirino è sempre a lama, innestato a coda di rondine, l’alzo è a ritto con cursore, tarato da 500 a 2.400 metri, con incrementi di un ettometro.
Il cursore è dotato di un pulsante di frizione ben dimensionato e agevolmente azionabile. Abbattendo in avanti l’alzo, si può utilizzare una tacca fissa per il combattimento ravvicinato, mentre con il ritto in posizione verticale, sollevando il cursore, si scopre una seconda tacca, posta sulla base del ritto, tarata sui 400 metri.
Tanto il cursore quanto la tacca da combattimento sono dotati di una tacca a “V” molto stretta, che consente un ottimo tiro mirato ma si dimostra decisamente ostica all’acquisizione nel tiro istintivo.
I fornimenti sono molto simili a quelli dell’Arisaka: il bocchino, in particolare, è praticamente identico, anche per consentire l’utilizzo della medesima baionetta. Gli attacchi per la cinghia sono posti inferiormente, in corrispondenza della fascetta e a metà della pala del calcio.
La prova di tiro si è svolta in appoggio anteriore, sulla distanza di 100 metri, utilizzando munizioni commerciali Norma con palla Alaska di 156 grs. Il profilo semi-rimmed della cartuccia obbliga a prestare una certa attenzione nel riempire il serbatoio: se, infatti, il collarino della cartuccia presentata all’otturatore finisce dietro a quello della cartuccia seguente, si ha un sicuro inceppamento. Una volta risolto questo inconveniente (indipendente dal fucile), comunque, l’ alimentazione è risultata fluida e impeccabile.
La manovra dell’otturatore è agevole, grazie al lungo manubrio, nonostante che la molla del percussore opponga una notevole resistenza.
Per contro lo scatto, in due tempi, è risultato decisamente pesante, circa 3.500 grammi: questo ha causato non poche difficoltà nel tiro meditato, anche se i risultati non sono stati poi così terribili.
Per attingere il centro del bersaglio, con la tacca da combattimento, è stato necessario mirare alla base del bersaglio di Pistola standard che abbiamo utilizzato per il test: il fucile, in ogni caso, ci ha da subito gratificati con raggruppamenti più che dignitosi, attestandosi su una media di tre colpi in 35 mm.
Con un minimo di affiatamento in più e una ricarica dedicata, siamo certi che il Tipo I sia una buona “macchina” per le gare Ex ordinanza. A proposito di ricarica, abbiamo verificato con piacere che gli operai italiani hanno fatto un ottimo lavoro con la camera di cartuccia: i bossoli vengono restituiti praticamente nuovi. Questo, sicuramente, è anche merito delle tranquille cartucce Norma che, a fronte di una velocità dichiarata di 630 m/sec, hanno sviluppato nel Tipo I una velocità media di 607,4 m/sec.
La percussione è di buona potenza, anche se non perfettamente centrata.
L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – agosto 2003
Modello: Tipo I
Tipo: carabina a ripetizione ordinaria
Funzionamento: otturatore girevole-scorrevole
Calibro: 6,5×50 Arisaka
Alimentazione: serbatoio fisso bifilare a presentazione alternata con fondello amovibile
Numero colpi: 5
Scatto: diretto
Percussione: percussore lanciato
Sicura: a tubetto con nasello sull’otturatore
Mire: mirino a lama innestato a coda di rondine, alzo a ritto con cursore
Lunghezza canna: 780 mm
Lunghezza totale: 1.290 mm
Peso: 4.200 grammi
Materiali: acciaio al carbonio
Finitura: brunitura nera semiopaca
Numero del Catalogo nazionale: 6.025 (arma da caccia)