Ha sparato 13 colpi, purtroppo risultati fatali, all’indirizzo di Francesco De Florio De Grandis, “colpevole”, secondo una narrazione malata scaturita dalla sua stessa mente, di “prenderlo in giro” o, come raccontato da altri, di “parlare male di lui”. L’autore del folle gesto è Amleto Petrosemolo, 70 anni, che in passato ha gestito una piccola armeria e aveva ancora alcune armi legalmente detenute.
Torna quindi drammaticamente alla ribalta la diatriba sull’adeguatezza dei controlli per i legali detentori di armi che, più nello specifico, vede alla Camera dei deputati in particolare un ddl che vorrebbe istituire un obbligo annuale di visita psichiatrica per tutti i legali detentori di armi.
Proprio quanto accaduto a Lanciano (Ch), tuttavia e in modo solo apparentemente paradossale, evidenzia come la semplice previsione di una visita psichiatrica annuale non rappresenti affatto la soluzione idonea, di per sé, a evitare il riproporsi di situazioni come questa, al di là del problema (ancora senza soluzione da parte dei proponenti questo tipo di leggi) relativa al fatto che non sussiste in Italia un numero di psichiatri anche solo lontanamente sufficiente al fabbisogno.
Abbiamo chiesto, in particolare, un approfondimento a Giovanna Bellini, che oltre a essere criminologa e neurologa (dirigente medico della Unità operativa complessa di Neurologia dell’ospedale di Livorno), è componente di uno dei collegi medici provinciali in seno all’Asl per la valutazione dei requisiti psicofisici per il porto d’armi: “Il problema si ripropone: chi sapeva? Chi doveva avvisare chi? Chi sapeva che da tempo l’assassino soffriva di quelle che vengono definite “manie di persecuzione”, cioè, per spiegarla semplice quelle “fissazioni” pervasive che delineano disturbi comportamentali e psichiatrici di un soggetto, e che nascono dalla propria mente, o vengono da fatti banali che il soggetto invece travisa e ingigantisce, in quello che si chiama appunto delirio? Il delirio rappresenta un disturbo del contenuto del pensiero in cui un convincimento, errato della realtà, non viene modificato da fatti o da confronto con altri, da spiegazioni, non è però esclusivo della schizofrenia ma anzi è più frequente in episodi maniacali che si inseriscono in uno stato depressivo, nel delirio cronico paranoideo e spesso è un correlato della demenza, anche nelle fasi iniziali. Talora nel complesso il soggetto a un colloquio, anche di tipo specialistico, può sembrare adeguato, se non si affrontano le tematiche specifiche relative a quel pensiero delirante. Mi spiego meglio: il delirio di persecuzione può essere indirizzato nei confronti solo di una persona ma il soggetto presenta un sufficiente adattamento alla vita quotidiana, o eventualmente con aspetti che possono essere campanello di allarme ad un occhio esperto, nel momento in cui, però, vengano riferiti anche da terzi. Nel caso di specie, chi ha riferito che il soggetto da tempo soffrisse di queste manie di persecuzione, con un preciso bersaglio, come lo ha saputo? Chi altri lo sapeva? Stava assumendo farmaci a questo proposito? Sembra che da tempo vivesse a vita più ritirata, era una manifestazione anche di una sindrome depressiva nota o di un iniziale decadimento cognitivo seguito da qualche professionista? I familiari che sapevano che il soggetto era detentore di armi e, a quanto si legge, di porto d’armi, non hanno percepito un allarme in questi comportamenti? Torniamo al problema della mancanza di comunicazione tra istituzioni e professionisti, ma anche alla mancanza di cultura della malattia psichiatrica che talora è considerata uno stigma anche dai familiari che quindi la nascondono, minimizzano o sottovalutano, di fatto non permettendo una cura adeguata e una messa in sicurezza del paziente e degli altri”.
Su questo tema di stringente attualità sarà pubblicato un approfondimento sul fascicolo di marzo di Armi e Tiro.