Con sentenza n. 11334 del 24 marzo 2021 (udienza del 12 febbraio 2021), la I sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna inflitta dal tribunale di primo grado, ritenendo inammissibile il ricorso, a un cittadino al quale era stata irrogata una ammenda di 200 euro più confisca di armi e munizioni, “perché ometteva di custodire con la dovuta diligenza dei fucili, tre pistole e due caricatori contenenti proiettili all’interno della sua abitazione”.
Il difensore del ricorrente ha eccepito non potersi parlare di omissione nella diligenza della custodia, perché “sebbene l’abitazione del ricorrente non sia munita di sistemi di allarme, è comunque dotata di porte con serratura e quella d’ingresso è assicurata anche da una sbarra che impedisce l’accesso dall’esterno; inoltre, l’alloggio è situato all’interno di un cortile, protetto da un cancello e alle finestre sono apposte inferriate… (omissis)… Inoltre, il ricorrente vive solo, riceve poche visite dai figli, anch’essi muniti di regolare licenza per il porto di armi, il che esclude che minori o incapaci possano essere a contatto con le armi, che non è ipotizzabile nemmeno possano essere accessibili per ignoti malintenzionati poiché l’abitazione è protetta dai sistemi di chiusura descritti”. Il difensore ha inoltre fatto notare che “La valutazione del Tribunale, che ha ritenuto insufficienti tali cautele, è erronea e non tiene conto dello stato dei luoghi e che quando i Carabinieri avevano fatto accesso all’abitazione, che si trova in campagna in luogo isolato, era già sera, sicché la pronta disponibilità delle armi era giustificata da esigenze difensive del suo occupante”.
La corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato, motivando così la decisione: “La sentenza impugnata ha fondato il giudizio di responsabilità a carico dell’imputato sulle circostanze del rinvenimento di fucili, pistola e munizioni, regolarmente denunciati, detenuti su mensole, dietro una porta d’ingresso della camera da letto, a lato del letto, all’interno di un comodino nel predetto locale e di un cassetto della cucina, quindi riposti in luoghi della sua abitazione non chiusi a chiave e privi di qualsiasi sistema di sicurezza. Ne ha dedotto la prova della loro custodia con modalità non diligenti, perché conservate cariche e funzionanti, quindi immediatamente fruibili e con modalità che non impedivano a terzi l’accesso e l’apprensione.
Osserva questa Corte che nella ricostruzione in punto di fatto delle condotte il Tribunale non è incorso nei denunciati errori quanto all’accertamento delle modalità di custodia dei dispositivi appartenenti all’imputato. Invero, l’affermata mancanza di diligenza nella custodia ha tenuto conto delle circostanze di fatto documentate, relative alla presenza dei fucili e degli altri dispositivi in numero superiore alla singola unità in luoghi visibili, immediatamente raggiungibili e direttamente apprensibili da parte di qualsiasi visitatore, alla dotazione nella casa di sistemi ordinari di chiusura delle porte, che non costituivano presidio sufficiente contro eventuali malintenzionati. Si tratta di emergenze probatorie di sicura acquisizione e tali da provare come, nella situazione di fatto, sussistesse la possibilità di un agevole prelievo di fucili, pistole e munizioni da parte di chiunque avesse avuto accesso alla casa, compresi soggetti minori, non essendovi meccanismi di occultamento e di chiusura dei dispositivi tali da precluderne la visione e l’apprensione.
L’art. 20, comma 1, parte prima, della legge 18 aprile 1975, n. 110, contestato nella specie, impone l’obbligo ai possessori a qualsiasi titolo delle armi di cui agli artt. 1 e 2 della stessa legge di custodirle con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica. Tale dovere generico di massima diligenza non va confuso, come sembra fare il ricorrente, con quello specifico di adottare efficienti misure antifurto, prescritto dalla seconda parte del comma 1 dello stesso articolo a carico di particolari categorie di soggetti, ossia dei rivenditori e collezionisti di armi, per cui il contenuto del predetto dovere generico, in assenza dell’indicazione delle specifiche modalità con le quali le armi debbono essere custodite, va, di volta in volta, individuato dal giudice di merito in rapporto alle singole situazioni contingenti e la relativa valutazione, se congruamente motivata, sfugge al sindacato conducibile in sede di legittimità.
Ora, il giudice di merito ha ritenuto, sulla scia di un orientamento già indicato dalla giurisprudenza di legittimità (sez. 1, n. 47299 del 29/11/2011, Gennari, rv. 251407), che l’obbligo di diligenza richiesto dalla norma non potesse considerarsi adempiuto dalla mera adozione delle difese antifurto, in quanto le cautele che la norma violata prevede hanno riferimento specifico alla custodia delle armi e non, di regola, ai sistemi di sicurezza e agli strumenti di allarme posti a presidio di una casa di civile abitazione; conseguentemente la collocazione dell’arma in abitazione protetta da un cancello, da una porta con catenaccio e da inferriate alle finestre, oltre ad essere stata ritenuta circostanza non documentata, è stata comunque considerata misura inidonea a fornire una tutela completa ed adeguata del bene tutelato dalla norma. Tanto basta ad escludere la sussistenza della denunziata violazione di legge, avendo il Tribunale fatto esatta interpretazione e corretta applicazione del disposto dell’art. 20 L. n. 110 del 1975, e ciò perché gli eventi che la norma precauzionale mira a prevenire riguardano, non solo i possibili autori di azioni delittuose, ma anche i meri frequentatori della casa di abitazione, certamente non legittimati, a cagione delle scarse cautele predisposte, ad impossessarsi, per le più svariate finalità, delle armi ivi detenute. Del pari nessun appunto può essere mosso all’iter argomentativo della decisione, contraddistinta da un discorso giustificativo congruo e non manifestamente illogico, dal quale il ricorrente, sull’infondato assunto di omessa risposta ai rilievi difensivi, semplicemente dissente. Va ricordato a livello esemplificativo che in sede di applicazione della norma la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta e rispettosa degli obblighi di legge la condotta del detentore quando le armi erano state riposte occultate in un punto non individuabile da terzi, non a conoscenza della loro presenza, oppure in luogo chiuso all’interno dell’abitazione o di sue pertinenze, cui non era consentito l’accesso indiscriminato a chiunque, né in modo immediato a chi frequentava la casa, “non sussistendo per il privato cittadino alcun obbligo di adottare particolari sistemi ed efficienti misure di difesa antifurto, né rilevando l’eventuale inidoneità di tali modalità di custodia ad impedire l’impossessamento dell’arma da parte di minorenni o altri soggetti da ritenere incapaci o imperiti, dal momento che tale inidoneità può rilevare, sussistendone le condizioni, solo con riferimento alla diversa e specifica ipotesi prevista dall’art. 20-bis della stessa legge” (sez. 1, n. 7154 del 14/12/1999, Cariello, rv 214960; sz. 1, n. 1295 del 9/12/1996, Curcio, rv. 206931; sez. 1, n. 15541 del 19/3/2004, PG in proc. Sallicandro, rv. 227934; sez. 1, n. 46265 del 6/10/2004, Aiello, rv. 230153; sez. 1, n. 8027 del 25/1/2011, Cavallaro, rv. 249840; sez. 1, n. 6827 del 13/12/2012, Arconte, rv. 254703).
Per contro, si è ritenuto integrati gli estremi del reato con riferimento alla condotta consistente nell’aver lasciato le armi ancora funzionanti, seppur vetuste, in bella evidenza nell’abitazione in assenza di ulteriori accorgimenti e precauzioni (sez. 1, n. 16609 del 11/02/2013, Quaranta, rv. 255682), oppure in un cassetto di un comò privo di sistemi di chiusura (sez. 1, n. 47299 del 29/11/2011, Gennai, rv. 251407)”.