Interessante sentenza del Tar di Genova sul diritto per gli ufficiali delle forze armate di chiedere il porto di pistola per difesa personale
Il Tribunale amministrativo della Liguria, con sentenza n. 187 del 27 febbraio 2018, ha stabilito che gli ufficiali delle forze armate italiane in servizio hanno diritto a ottenere, se la richiedono, la licenza di porto di pistola per difesa personale, come previsto dall’articolo 75 del regolamento di esecuzione al Tulps (R.D. 6 maggio 1940, n. 635). La pronuncia è scaturita dal diniego opposto dalla prefettura di Genova al rilascio a un tenente colonnello dell’esercito che ne aveva fatto richiesta. Il regolamento di esecuzione al Tulps, che risale al 1940, prevede che “agli ufficiali in servizio attivo permanente delle forze armate dello Stato che ne facciano domanda può essere concessa licenza gratuita di porto di rivoltella o pistola quando vestono l’abito civile”. In particolar modo negli ultimi anni, le prefetture hanno interpretato quel “può” nel modo più restrittivo, richiedendo cioè in capo all’ufficiale la dimostrazione del “giustificato motivo” per concedere il porto d’armi, come a qualsiasi altro cittadino. Il Tar invece con questa pronuncia ha inteso rovesciare completamente la questione, osservando che “non si tratta di un diritto assoluto, come si deduce dall’impiego del verbo “potere” che regge la proposizione in questione, ma si osserva che l’ampiezza della previsione induce ad affermare che l’eventuale diniego a tale istanza deve essere fondato su situazioni personali ostative. La lettura del rigetto impugnato convince invece che la pubblica amministrazione ha considerato l’interessato alla stregua di ogni altro cittadino, e non ha tenuto conto della pur datata norma regolamentare denunciata e dell’appartenenza del richiedente alle forze armate”.
In altre parole: secondo il Tar della Liguria, se un ufficiale delle forze armate fa richiesta di porto d’armi non è consentito alla pubblica amministrazione sindacare sulla sussistenza o meno del “giustificato motivo”, bensì alle prefetture compete solo accertare che non sussistano motivi ostativi al rilascio (per esempio, inidoineità psicofisica).