La Cassazione penale ribadisce che i caricatori destinati ad armi militari, non ridotti, sono parti d’arma da guerra
Con sentenza n. 51880 del 29 ottobre 2019 (depositata il 23 dicembre 2019), la prima sezione della Cassazione penale ha confermato la condanna per un soggetto trovato in possesso di un caricatore per Stg57 calibro 7,5×55 mm, non ridotto alla capacità prevista per le armi demilitarizzate, per la pena prevista per la detenzione di parte di arma da guerra (l. 695/67). La Cassazione ha infatti valutato che “le modifiche introdotte al D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, dall’art. 3, commi 3-septies e 3-octies convertito con modificazioni nella L. 17 aprile 2015, n. 43 riguardano soltanto i caricatori per armi comuni da sparo, va rilevato che il ricorso non smentisce che il caricatore sequestrato fosse suscettibile di essere inserito in un fucile d’assalto che era stato in dotazione all’esercito svizzero e che quindi esso era idoneo per il tiro a raffica. Giova rammentare che, ai fini dell’attribuibilità della qualifica di “parte” di una singola arma, che consente la incriminazione della condotta che la concerne, è sufficiente l’autonomia funzionale di essa che ne rende possibile l’individuazione come elemento strutturale tipico della arma stessa, e la facile ricomposizione dell’intero senza la necessità di speciali procedimenti (Sez. 1, n. 701 del 14/03/1988, Rv. 180228). La L. n. 895 del 1967, al suo art. 2, ha previsto la punibilità della detenzione della parte di arma: e, ai sensi della L. n. 110 del 1975, art. 1 sono armi da guerra le armi di ogni specie che, per la loro spiccata potenzialità di offesa, sono o possono essere destinate al moderno armamento delle truppe nazionali o estere per l’impiego bellico. Nella fattispecie, nemmeno il ricorso – si ribadisce – ha contestato la correttezza delle conclusioni del consulente tecnico secondo le quali il caricatore sequestrato equipaggiava un fucile che era stato in uso all’esercito elvetico ed era idoneo al tiro a raffica. Di conseguenza, correttamente il Tribunale lo ha qualificato come parte di un’arma da guerra, mentre le censure del ricorrente mostrano una natura congetturale che non inficia la motivazione, piana e logicamente dipanata, della sentenza impugnata”.
La sentenza ha poi affrontato anche la questione delle munizioni da guerra, osservando (in modo tecnicamente erroneo) che la camiciatura del proiettile sarebbe idonea di per sé a qualificare il proiettile medesimo come “perforante” e, di conseguenza, da guerra, confermando peraltro un orientamento già consolidato della medesima corte.
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