Aberrante sentenza della Cassazione che “scopiazza” un precedente del 1997, senza tenere conto delle evoluzioni che la normativa ha subìto in particolare con il recepimento della direttiva europea del 2017
La Cassazione ha condannato, con sentenza n. 14811 del 13 maggio 2020, un soggetto per la detenzione di semplici “calci” di fucile, argomentando che si trattasse di parti d’arma in senso giuridico (quindi teoricamente soggetti a denuncia) e utilizzando a conforto di questa conclusione la considerazione secondo la quale “costituisce parte di un’arma, ogni componente, diverso dagli accessori di mera rifinitura od ornamento, indispensabile per il suo funzionamento o che contribuisca a renderla più pericolosa, aumentandone potenzialità, precisione di tiro o rapidità di esplosione“, ripreso pedissequamente da alcune sentenze precedenti della Cassazione, una delle quali (relativa specificamente a un calcio di fucile) risalente addirittura al 1997.
Occorre a tal proposito ribadire e sottolineare che la definizione fornita dai giudici della Cassazione, relativa al concetto di cosa possa essere considerato parte d’arma in senso giuridico e cosa no, era legata alla definizione di parte fondamentale d’arma data dalla legge 527 del 1992, che nella sua originaria formulazione forniva una elencazione delle parti d’arma che è stata sempre ritenuta in giurisprudenza come meramente esemplificativa e non esaustiva. Occorre, però, ricordare che con il decreto legislativo n. 104 del 2018, la legge 527 del 1992 è stata innovata, in ossequio al recepimento della direttiva europea 2017/853, fornendo una nuova definizione delle parti d’arma in senso giuridico, che non è più meramente indicativa, bensì tassativa. Secondo la nuova formulazione della legge 527/92, infatti, è parte di arma in senso giuridico solo ed esclusivamente “ciascuna delle seguenti componenti essenziali: la canna, il telaio, il fusto, comprese le parti sia superiore sia inferiore (upper receiver e lower receiver), nonché, in relazione alle modalità di funzionamento, il carrello, il tamburo, l’otturatore o il blocco di culatta che, in quanto oggetti distinti, rientrano nella categoria in cui è stata classificata l’arma da fuoco sulla quale sono installati o sono destinati ad essere installati“. Dalla lettura del testo letterale si evincono quindi due elementi fondamentali: il primo è che secondo l’attuale legge, solo le componenti “fondamentali” dell’arma sono considerate parti d’arma in senso giuridico (quindi soggette a denuncia ex art. 38 Tulps) e in secondo luogo che tra le parti “fondamentali” non figura la calciatura. La quale, appunto, nel “mondo reale” al di fuori dei palazzi romani, è normalmente commercializzata come un mero pezzo di legno, senza che siano richieste né dovute particolari procedure di Ps. Giova anche ricordare che, non rientrando tra le parti fondamentali, la calciatura non è neanche sottoposta agli obblighi di marcatura delle componenti previste dalla legge. Per leggere la sentenza, CLICCA sull’allegato qui sotto.