A Pecol, una frazione della provincia di Belluno, è stato abbattuto un cervo maschio adulto che viveva ormai da 7 anni circa tra le case del paese. Prendeva da mangiare dalle persone, si faceva accarezzare, dormiva sugli zerbini e tante altre cose che solitamente fa un animale che ormai non ha più nulla di selvatico. Naturalmente tutti gli abitanti si beavano di questa prerogativa, vedendo in essa una grande manifestazione di Natura, di convivenza e di fratellanza. Certo è affascinante poter dire di aver avuto la possibilità di fraternizzare con un esemplare simile. Ma questo non giustifica il fatto che il cacciatore che lo ha abbattuto, un ragazzo di 23 anni, che a quanto risulta al momento era nel pieno delle autorizzazioni e del piano di abbattimento, possa essere fatto oggetto di insulti e minacce di morte. Cose, invece, di normale amministrazione. Ai cacciatori si può dire di tutto. Perché gli altri, i buoni, se si tratta di animali “belli” e fotogenici non sentono ragioni. Pazienza se poi la stragrandissima maggioranza di loro si veste e mangia grazie al sacrificio, non certo volontario, di animali di altre specie, ma di cui non frega loro nulla o, comunque, molto meno.
Se il cacciatore sapeva che quello specifico esemplare di cervo non era più “selvatico”, bensì era addomesticato, e lo ha abbattuto nei dintorni del paese, be’, di certo non ha compiuto una grande azione di caccia.
Ma se lo ha abbattuto perché “Bambotto”, questo il nome affibbiatogli, se ne andava per i boschi in cerca di femmine (essendo la stagione del bramito), indistinguibile da un qualsiasi altro cervo adulto della stessa zona, allora rientra in quello che normalmente accade ad altre migliaia di animali destinati all’abbattimento di selezione come da leggi dello Stato, demandate alle regioni e agli Atc.
Sarebbe opportuno far notare ai cittadini in lutto che, se veramente questo animale girava tra le case da 7 anni, avrebbero potuto, per esempio, farsi parte diligente nei confronti di sindaco, carabinieri forestali, Atc, Ispra eccetera, per ottenere un permesso di custodia in un’area apposita recintata, come animale ormai semi-addomesticato. Visto, tra l’altro, che l’animale si faceva avvicinare dalle persone senza alcun timore, non sarebbe stata una cattiva idea contrassegnare opportunamente i palchi, ogni anno, per renderlo in qualche modo riconoscibile. Ma soprattutto, andare a parlare con le locali associazioni venatorie, al fine di informare i cacciatori del peculiare status dell’animale. È stato fatto? Tutto o anche solo qualcosa di ciò? Siamo scettici al riguardo. Con i cacciatori, al limite, si parla a cose fatte, per insultarli. L’aspetto più paradossale è che sul web, peraltro, ci sono decine se non centinaia di siti di associazioni ambientaliste e animaliste, che spiegano i motivi per i quali foraggiare un animale selvatico è una pessima idea, principalmente proprio per l’animale stesso. Ed è per questo motivo, per esempio, che il foraggiamento di alcune specie di animali selvatici è pratica vietata dalla legge e dalle ordinanze di alcuni comuni italiani. Peraltro, avere tra le strade del paese un ungulato di quasi due quintali di peso, non è una cosa esente da rischi. Pensiamo agli incidenti stradali determinati proprio dall’attraversamento di strade carrabili da parte della fauna. Ma questo è solo uno degli aspetti criticabili nel far perdere la selvaticità a un animale, appunto, selvatico. Si è allevato un “Bambotto” quasi che, in realtà, fosse appunto un bambolotto, senza peraltro (apparentemente) preoccuparsi delle possibili conseguenze? Adesso tutti a puntare il dito contro il cacciatore, ma le responsabilità, in realtà, sono di tutti.