Ci sono, anche nell’ambito della normativa in materia di armi, veri e propri tormentoni che ciclicamente ricorrono, imperversando come un tornado nelle questure o nelle stazioni carabinieri. Uno di questi, che causa notti insonni al funzionario o al maresciallo di turno, è relativo al fatto che la cessione di armi tra privati, secondo costoro, dovrebbe essere solo ed esclusivamente effettuata a titolo gratuito, perché in caso contrario si tratterebbe di “commercio” e quindi sarebbe necessario disporre dell’apposita licenza di vendita professionale delle armi prevista dall’articolo 31 del Tulps. Da qui, con sconcertante periodicità nel tempo, si scatenano vere e proprie cacce alle streghe con fantomatiche imputazioni nei confronti di collezionisti e appassionati, rei di aver ceduto armi in cambio di vil moneta, magari da reinvestire per l’acquisto di altre armi da collezionare.
Vendita e cessione
Nel linguaggio burocratese che viene utilizzato sia nel Testo unico per le leggi di pubblica sicurezza, sia nelle altre fonti normative che riguardano le operazioni inerenti le armi che possono essere acquistate dai cittadini italiani, c’è spesso una differenziazione lessicale tra la “vendita” di armi, intendendosi con tale termine la compravendita a fini di commercio tra un negoziante (armiere) e un cittadino, e la “cessione”, termine che di norma viene utilizzato per indicare il passaggio di proprietà che si svolge tra privati. In realtà il termine “cessione” di per sé non trova riscontro tra i negozi giuridici (contratti) tipizzati dal nostro ordinamento giuridico italiano, risultando in pratica un sinonimo, peraltro incompleto, di altri negozi giuridici, che possono svolgersi a titolo gratuito (come la donazione) o a titolo oneroso (come la compravendita).
Ogni volta che viene utilizzato, negli atti aventi forza di legge vigenti nell’ordinamento giuridico italiano, il termine “cessione” in relazione al trasferimento di proprietà di un’arma tra privati, non è mai specificato che tale cessione debba avvenire a titolo gratuito. Il che ha perfettamente senso, in quanto la distinzione significativa che l’ordinamento giuridico italiano fa sulla compravendita di armi è tra l’attività occasionale e quella professionale, non tra il titolo gratuito oppure oneroso. In altre parole: la “vendita” di armi effettuata dall’armeria è una attività professionale, che nell’accezione comune (e tecnica) del termine è una attività continuativa, svolta a fine di lucro nel senso che costituisce una fonte di reddito costante nel tempo, a prescindere dal fatto che risulti l’attività principale oppure una attività collaterale, secondaria, in relazione al totale complessivo delle proprie entrate. La “cessione” risulta, invece, una operazione occasionale, senza che questo in alcun modo possa rappresentare un obbligo che si svolga a titolo gratuito. Anche da un punto di vista meramente logico-concettuale, non si capisce come un ordinamento giuridico di un Paese democratico possa chiedere a un cittadino di acquistare un’arma pagandola in bei soldoni, ma poi obbligare lo stesso cittadino che per qualsiasi motivo se ne voglia disfare, a regalarla! E infatti, per fortuna, la maggior parte delle questure e delle stazioni carabinieri è perfettamente edotta di ciò. Purtroppo, però, ogni tanto (ma ciclicamente) saltano fuori isolati “meteoriti”.
In questo senso si è anche espressa la Cassazione penale, con sentenza del del 24 giugno del 1985 (ripresa sul sito del Conarmi) nella quale si è osservato che “Dal complesso della disciplina vigente in materia di armi, è desumibile che la necessità di licenza per la vendita o la cessione di armi comuni da sparo e le relative munizioni è imposta nei confronti di coloro che siffatta attività svolgono professionalmente, anche come abituale attività di fatto, non già quando si tratti di singolo caso di vendita o cessione occasionalmente effettuata da privato; in quest’ultimo caso, non è prevista un’apposita licenza e la vendita o la cessione di per sé non costituiscono reato, con il solo obbligo per il cedente di darne avviso all’autorità di p. s. e per il cessionario o acquirente di denunciarne il possesso”.