L’Associazione nazionale produttori di armi e munizioni (Anpam) ha emanato un comunicato ufficiale nel quale esprime il proprio sconcerto dopo l’articolo pubblicato sull’Espresso n. 29 del 24 luglio. Nell’articolo, infatti, si dipinge la comunità dei tiratori e più in generale degli appassionati d’armi secondo i più beceri e abusati luoghi comuni, con palesi disinformazioni e grossolane mistificazioni della realtà. “Ci risiamo. Con una cadenza puntuale e perfino…
L’Associazione nazionale produttori di armi e munizioni (Anpam) ha emanato un
comunicato ufficiale nel quale esprime il proprio sconcerto dopo l’articolo
pubblicato sull’Espresso n. 29 del 24 luglio. Nell’articolo, infatti, si
dipinge la comunità dei tiratori e più in generale degli appassionati d’armi
secondo i più beceri e abusati luoghi comuni, con palesi disinformazioni e
grossolane mistificazioni della realtà.
“Ci risiamo. Con una cadenza puntuale e perfino sospetta, si riaccende (su
L’espresso n. 29 del 24 luglio) la solita questione sulle armi comuni da sparo:
da caccia, per attività sportive di tiro e per difesa. A dire il vero,
pensavamo che il solito falò sulla questione armi fosse ormai definitivamente
spento. E a confortarci in questa convinzione erano intervenute le
dichiarazioni pubbliche rese da un autorevolissimo dirigente del ministero
dell’Interno: “In Italia c’è una delle normative sul controllo delle armi
probabilmente più avanzate nel mondo, tanto che abbiamo recepito interamente il
Protocollo Onu firearms come nessun Paese del mondo ha fatto”. A questo punto,
delle due l’una: o l’affermazione (rigorosamente registrata) era dettata
solamente dal desiderio di compiacere la platea, ma sappiamo con certezza che
non è così; oppure il redattore dell’articolo ha giocato a moltiplicare fucili
per cacciatori/tiratori per anni di validità delle licenze. Un esercizio
indubbiamente di grande sensazione, anche se raffazzonato. L’autore, infatti,
si contraddice in maniera evidente e finisce per smentire il titolo stesso
della sua inchiesta. Al di là delle chiacchiere, gli unici dati inoppugnabili
sono quelli forniti dal ministero dell’Interno che, peraltro, vengono citati
dallo stesso autore. Nel panorama nazionale, solamente il numero delle licenze
uso sportivo risulta pressoché stabile. Per le licenze di caccia e per i porti
d’arma per difesa personale, invece, si registra una continua flessione (per
questi ultimi, in particolare, si è passati dai 35.700 del 2004 ai 23.600 del
2007). Una situazione che invalida la tesi dell’articolo in cui si afferma che
“gli italiani si stanno silenziosamente armando”! L’articolo lascia poi
intendere che acquistare armi in Italia sia quasi un gioco da ragazzi, e che
tramite Internet possano essere facilmente aggirati o azzerati i controlli.
Prima di tutto, in Italia è vietata la vendita di armi per corrispondenza, e
con questa affermazione l’autore dimostra di ignorare che esiste tutta una
serie di verifiche, certificazioni e autorizzazioni che il ministero
dell’Interno, le autorità di pubblica sicurezza e l’arma dei carabinieri
svolgono con scrupolo encomiabile. C’è poi il colpo a effetto rappresentato dal
numero delle armi “circolanti” in Italia; un dato difficile da stabilire ma che
indubbiamente provoca tutto lo scalpore che l’autore si prefigge di suscitare.
Ma non basta. Con l’unico intento di creare allarmismo e insicurezza nella
pubblica opinione, il giornalista scava nella cronaca ormai remota del maggio
2003 per ricordare due episodi luttuosi che suscitarono giustamente sdegno e
preoccupazione ma che non costituiscono certamente nessun tipo di prova, e non
dimostrano null’altro se non l’assoluta impossibilità di prevedere (e
prevenire) le esplosioni di follia. Tant’è che è sufficiente leggere i giornali
di questi ultimi mesi per trovare un numero impressionante di stragi commesse
(sia in Italia che all’estero) non con l’uso delle armi da sparo ma con
strumenti comunissimi come asce, martelli o coltelli. Un’altra perla si ha poi
nel leggere della insufficienza dei controlli psicofisici attualmente previsti
per i titolari di porto d’armi; controlli che si preferirebbe attribuire a un
collegio (pressoché impossibile da riunire) di ben cinque esperti. Abbiamo
sempre affermato, anche in epoche non sospette, che il controllo sulle capacità
psico-fisiche degli aspiranti al porto di armi, seppur sportive, sia una prassi
periodica assolutamente doverosa. Allo stesso tempo, però, riteniamo che debba
essere proprio il medico di famiglia – l’unico perfettamente a conoscenza di
ogni patologia, palese o occulta dei propri assistiti – a certificare
l’idoneità o meno a portare armi. L’autore affronta poi l’aspetto “economico”
del comparto. Ebbene, ciò che agli occhi del giornalista de l’Espresso appare
come una colpa, noi, invece, riteniamo che rappresenti un triplice primato di
cui andiamo fieri: siamo il primo produttore europeo di fucili da caccia e
sportivi; siamo il primo esportatore di questi prodotti; rappresentiamo il
punto di riferimento mondiale per quanto riguarda la qualità, il pregio
estetico e l’affidabilità. A questo riguardo, basta ricordare che nelle ultime
Olimpiadi di Atene del 2004 i fucili italiani hanno conquistato tutte le 18
medaglie in palio per il Tiro a volo, con atleti di ben 13 Paesi diversi. È
infine doveroso fare un’osservazione sulla scelta delle immagini che commentano
lo straordinario articolo. Per esempio, si mostrano e si descrivono i poligoni
di tiro come se fossero l’anticamera dell’inferno o chissà quale luogo di umana
perdizione. Una sciocchezza grossolana: le discipline di tiro – a volo o su
bersaglio fisso – rappresentano, da sempre, un fiore all’occhiello per la
nostra attività agonistica internazionale, e sono le più sicure in senso
assoluto tra le varie attività ricreative o sportive. Queste sono solo alcune
delle doverose osservazioni su un articolo che consideriamo anche offensivo per
i lavoratori, gli sportivi, i cacciatori e perfino per le forze di polizia, e
pensiamo che possa giovare riportare un altro brano di quella autorevole
dichiarazione, resa da un influente esponente dell’Istituzione alla quale è
demandata la vigilanza in materia di armi e munizioni. “Il settore armiero
italiano è tante cose tutte insieme, e tutte positive. È sicuramente industria,
è sicuramente cultura, è sicuramente sport, è sicuramente storia, e rappresenta
un punto di forza del Paese in quanto siamo il primo produttore mondiale di
armi lunghe e corte di pregio. Siamo inoltre uno dei Paesi in cui lo sport con
le armi assume un rilievo particolare, grazie ai prestigiosi risultati
internazionali conseguiti”.