Alcune questure chiedono fantomatiche “dichiarazioni di vendita” agli appassionati che denunciano l’acquisto di caricatori “maggiorati” per le armi sportive. Una richiesta illegittima, ecco perché
Non c’è pace sulla questione dei caricatori “maggiorati” per le armi sportive, ovvero i caricatori di capacità superiore a 5 colpi per le carabine e 15 per le pistole. Come era prevedibile, il guazzabuglio giuridico creato dalla sovrapposizione di ben tre diverse norme aventi forza di legge in 5 anni (decreti legislativi 204/10 e 121/13, nonché legge “antiterrorismo” n. 43 del 2015) ha creato una confusione sovrumana negli organi di pubblica sicurezza e, come era prevedibile, la loro confusione si riflette inevitabilmente sugli appassionati, sotto forma di obblighi e pretese illegittime.
Negli ultimi mesi, in particolare, ci sono giunte alcune segnalazioni relative a questure del Nord Italia che, agli appassionati che si accingono a denunciare (come previsto dalla legge antiterrorismo) l’acquisto di caricatori “maggiorati” per armi sportive, chiedono l’esibizione di una dichiarazione di vendita emessa dall’armiere. La richiesta è ovviamente illegittima, vediamo perché e cosa si può fare.
Vediamo di ripercorrere i passaggi legislativi sui caricatori: il decreto legislativo 204 del 2010 ha eliminato i caricatori per armi comuni da sparo dal novero delle parti d’arma in senso giuridico, rendendoli tutti, di conseguenza, di libera vendita. Il decreto 121 del 2013, però, ha introdotto un divieto di detenzione per i caricatori di capacità superiore a 5 colpi per carabina e a 15 colpi per pistola, con una deroga però per le repliche di armi lunghe antiche (10 colpi) e per le armi sportive (il limite di colpi in tal caso è quello previsto dai regolamenti sportivi). Infine, la legge antiterrorismo n. 43 del 2015 ha introdotto un obbligo di denuncia per i caricatori, appunto, di capacità superiore a 5 e 15 colpi. Attenzione, però: la legge ha introdotto l’obbligo di denuncia, ma NON ha riportato tali caricatori tra le parti di arma in senso giuridico, né avrebbe potuto farlo, perché in tal caso si sarebbe rischiata una procedura di infrazione europea, in quanto la direttiva 51/2008 Ce (recepita dal decreto 204/10) ha eliminato per tutti gli Stati Ue i caricatori dall’elenco delle parti fondamentali d’arma, riducendoli al rango di meri accessori.
La conseguenza diretta di questo stato di cose è che, come peraltro sottolineato dalla circolare del ministero dell’Interno emanata il 3 novembre 2015, per i caricatori non esiste alcuna formalità di registrazione per i produttori e i venditori professionali che, tra l’altro, nella stessa circolare si sottolinea come non siano neanche tenuti ad avere una licenza per la costruzione o la vendita di armi (art. 31 Tulps). Solo agli acquirenti finali spetta l’obbligo di denuncia (solo per i caricatori di capacità superiore a 5 e 15 colpi), ma il venditore, non essendo tenuto ad alcuna registrazione, non è neanche tenuto a fornire alcuna dichiarazione di vendita. Dichiarazione, tra l’altro, che avrebbe comunque solo il valore di semplice scrittura privata, visto che i caricatori non devono essere caricati sul registro delle operazioni giornaliere.
In base a quanto esposto, è evidente che la pretesa da parte di alcune questure di avere una dichiarazione di vendita da parte del cittadino che denuncia l’acquisto di caricatori è illegittima. Ma cosa può fare il cittadino che non vuole piegarsi all’arbitrio e all’abuso? Innanzi tutto, portare a conoscenza la questura della circolare del ministero dell’Interno del 3 novembre 2015 e, in secondo luogo, ricordare che gli organi di ps NON possono rifiutarsi di accettare la denuncia del cittadino, che sia corredata di dichiarazione di vendita o non lo sia, perché la denuncia NON è una istanza, bensì una mera presa d’atto da parte dell’autorità di ps (tanto è vero che va in carta libera e non in bollo). Quindi, considerando che il cittadino è OBBLIGATO a denunciare l’acquisto dei caricatori “maggiorati” entro 72 ore dall’acquisto, nel caso in cui l’autorità di ps si rifiutasse di accettare la denuncia (cosa che, comunque, è anche un reato…), consigliamo di inviarla al medesimo ufficio mediante posta raccomandata (fa fede il timbro postale), perché in tal modo il cittadino può quantomeno avere un riscontro scritto del fatto che ha adempiuto all’obbligo previsto dalla legge. Se la politica e, soprattutto, il ministero dell'Interno hanno realizzato una norma semplicemente assurda e inutile dal punto di vista della pubblica sicurezza, è giusto che sia chi di dovere ad assumersene la responsabilità, e non sempre e soltanto il cittadino.