Se ti derubano 91 volte, non puoi sparare; se spari e per giunta ti prosciolgono, arriva però la famiglia del morto e minaccia te e i tuoi figli. Decisamente, la difesa personale in Italia non è per i comuni mortali
C’è il caso di Francesco Sicignano, prosciolto dalla giustizia italiana ma minacciato di morte dai parenti dell’albanese al quale sparò perché aggredito nella propria casa; oppure quello di Angelo Peveri (in foto), condannato definitivamente per tentato omicidio (e incarcerato) per essersi permesso di sparare ai ladri dopo che aveva subìto 91 (novantuno) furti nella propria attività imprenditoriale. Sono due casi agli antipodi (nel primo si è avuta una archiviazione perché riconosciuta la scriminante della legittima difesa, nel secondo si è avuta una condanna per tentato omicidio), ma la conclusione è la medesima: due vite rovinate. Vediamo perché…
La vicenda di Francesco Sicignano ha inizio nel 2015, allorché nella sua abitazione di Vaprio d’Adda si introduce furtivamente un malintenzionato albanese. Sicignano spara, l’albanese muore. È l’inizio di un calvario lungo 22 mesi, fatto di perizie, accertamenti tecnici, patemi d’animo e avvocati da pagare, al termine del quale finalmente si ha il proscioglimento in udienza preliminare. In pratica, è stata riconosciuta la legittima difesa e il processo non si farà. Finita lì? Dopo (si stima) 80 mila euro circa di spese legali e quasi due anni senza chiudere occhio? Ovviamente no: la famiglia d’origine dell’intruso, ed è la “ciliegina” sulla torta emersa alle cronache da poco più di una decina di giorni, deve ovviamente far presente (in televisione) che in base alla legge del “kanun”, dovrà per forza a sua volta uccidere uno dei figli di Sicignano, visto che lui sarebbe “troppo vecchio” per fungere da "capro espiatorio". A meno che non “ci si metta d’accordo”, naturalmente. E il “mettersi d’accordo”, ovviamente, si intende dal punto di vista economico…
Al povero imprenditore piacentino Angelo Peveri, invece, è toccato di non dormire per “soli” otto anni: risale infatti al 2011 la vicenda che lo ha visto andare sotto processo, per aver sparato a tre ladri (ferendone gravemente uno) che nottetempo stavano cercando di sottrarre il gasolio da un mezzo della sua azienda in un cantiere. In conclusione del suo iter giudiziario (giunto fino in Cassazione), la giustizia italiana non ha riconosciuto la legittima difesa e lo ha quindi condannato a 4 anni e 6 mesi di reclusione (quindi oltre i limiti della condizionale) per tentato omicidio (e non per eccesso colposo di legittima difesa). La sua colpa più grande, probabilmente, quella di aver dichiarato a suo tempo di aver fatto fuoco perché esasperato dai continui furti che stava subendo nella propria attività. I quali furti sarebbero stati in tutto 91 (novantuno), secondo quanto è attualmente dato sapere. E ora? Ora, al di là del dischiudersi delle porte del carcere, inizierà anche il processo in sede civile per il risarcimento del ladro ferito, si parla di un esborso di 700 mila euro.
È abbastanza evidente che la nostra democrazia e la nostra carta costituzionale non pongano sullo stesso piano la difesa di un bene minacciato dal rischio di un furto, rispetto alla difesa del bene della vita umana. Occorre, tuttavia, che questa affermazione sia contestualizzata ai tempi nei quali stiamo vivendo, per assumere (magari, chissà) un significato differente. In altre parole: se uno stesso ladro, o più ladri differenti (non fa differenza), derubano lo stesso cittadino ogni singola notte della sua vita, stanno minacciando ancora solo e soltanto i suoi beni? O non stanno invece attentando a un bene di rango superiore? Un imprenditore rovinato dai continui furti, al punto da essere costretto a cessare l’attività, ha perso soltanto “beni”? O venendo a mancare la sua fonte di sostentamento, essendo annichilita la sua serenità casalinga notte dopo notte, non è minacciata forse la sua stessa vita? E ancora: un cittadino che sia stato costretto a tutelare la propria vita in un contesto di legittima difesa, può dover attendere anni prima che venga riconosciuto il suo buon diritto? E soprattutto: che destino (giudiziario…) può avere se non può pagare avvocati, consulenti tecnici di parte eccetera?