Con sentenza n. 13001 del 6 aprile scorso (udienza del 30 settembre 2020), la I sezione penale della Cassazione ha accolto il ricorso della procura generale presso la corte d’appello di Milano, avverso la sentenza del Gip di Busto Arsizio che aveva dichiarato non doversi procedere con il processo, perché il fatto non costituisce reato, nei confronti di un cittadino che “portava fuori dalla propria abitazione e dalle pertinenze di essa, uno sfollagente telescopico in acciaio della lunghezza da cm 13 (chiuso) a cm 31 (aperto), oggetto chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona”.
Il Gip aveva infatti considerato nelle proprie valutazioni che la fattispecie prevista dall’articolo 4 della legge 110/75 “è reato di pericolo… per la cui consumazione si richiede, ove si tratti di strumenti non espressamente considerati da punta e da taglio, che siano utilizzabili per l’offesa alle persone” e “tale giudizio deve fondarsi su specifiche circostanze temporali e spaziali in base alle quali nasce il pericolo dell’uso dello strumento nei confronti di una o più persone”. Il Gip ha ritenuto insussistente, inoltre l’elemento soggettivo del reato.
Contro la decisione del non luogo a procedere ha presentato ricorso per Cassazione la procura generale. La Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la decisione del Gip, argomentando che “Rappresenta un principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimità, e dal quale il Collegio non intende discostarsi, quello secondo cui “lo sfollagente è esplicitamente compreso tra le armi e gli strumenti ad esse assimilati indicati nel primo comma dell’art. 4 della legge n. 110 del 1975 sul controllo delle armi e per i quali è dalla legge vietato il porto, salvo le autorizzazioni previste dal terzo comma dell’art. 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Detti strumenti, la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, sono tenuti distinti dalla legge dagli altri oggetti, che, pur avendo normalmente una specifica e diversa destinazione, possono occasionalmente servire all’offesa e che attualmente trovano la loro disciplina nel secondo comma del predetto articolo 4, il quale ha ampliato la casistica dell’art 42, secondo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza” (Sez. 1, n. 5852 del 23/01/1978, Andreotti, Rv. 138978; in termini: Sez. 1, n. 21780 del 20/7/2016, dep. 2017, Mazzi, Rv. 270263; Sez. 1, n. 23490 del 21/03/2019, P.m. in proc. Kocev, n.m.; Sez. 1, n. 45724 del 18/09/2019, Pg in proc. Cari, n.nn.).
Il primo comma dell’art. 4, che ha interamente riprodotto il divieto previsto dall’abrogato primo comma dell’art. 42 T.U.L.P.S. (“Non possono essere portati, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, armi, mazze ferrate o bastoni ferrati, sfollagente, noccoliere”) contiene, infatti, un elenco tassativo di dispostivi (successivamente ampliato dall’art. 5 d.lgs. n. 204 del 2010 che vi ha introdotto anche gli storditori elettrici e altri apparecchi analoghi in grado di erogare un’elettrocuzione), la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona e per i quali il porto fuori dall’abitazione è sempre proibito, a prescindere dalle circostanze in cui avviene, per l’intrinseca pericolosità dello strumento in quanto tale, né serve a renderlo lecito il giustificato motivo, espressamente previsto come requisito negativo del solo fatto-reato contemplato nel secondo comma dell’art. 4.
Il legislatore, là dove ha ricompreso espressamente lo sfollagente tra gli strumenti elencati nel primo comma dell’art. 4 unitamente alle armi, tenendolo distinto dagli oggetti elencati nella prima parte del successivo comma, nonché dagli altri strumenti atti ad offendere non indicati in dettaglio nella seconda parte della disposizione, non può che riferirsi ad una tipologia di strumento lesivo, storicamente utilizzato dalle forze di polizia, che per caratteristiche costruttive e per conformazione, essendo dotato di anima rigida e di facile utilizzo che lo rende particolarmente insidioso, presenta vocazione naturale all’offesa alla persona.
Ebbene, la decisione censurata non appare rispettosa delle coordinate ermeneutiche della fattispecie, posto che in punto di fatto non sono state oggetto di necessaria e prioritaria considerazione le caratteristiche intrinseche dell’oggetto, indicato dall’accusa come sfollagente telescopico. Le conclusioni raggiunte non muovono, infatti, da corrette premesse, mancando la previa verifica dell’intrinseca potenzialità offensiva dell’oggetto sequestrato e la sua motivata riconduzione, una volta esclusane la naturale destinazione all’offesa, nel corpo del secondo comma dell’art. 4, tra gli oggetti il cui porto è sanzionato dal successivo terzo comma a determinate condizioni. Ed invero, solo gli oggetti indicati specificamente nella prima parte del secondo comma sono da ritenere del tutto equiparabili alle armi improprie, per cui il loro porto costituisce reato alla sola condizione che avvenga “senza giustificato motivo”; per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, cui si riferisce l’ultima parte della stessa disposizione normativa, occorre anche l’ulteriore condizione che essi appaiano “chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona”. Viceversa, ritenuta la potenzialità offensiva propria dello strumento, a fronte della richiesta di emissione di un decreto penale di condanna contenente un’errata qualificazione giuridica del fatto, per come già emergente dal testo dell’imputazione, per essere lo sfollagente assimilato dal legislatore alle armi proprie per la sua naturale destinazione all’offesa, alla riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 699 cod. pen. avrebbe dovuto far seguito la restituzione degli atti al P.M. (tra le molte e da ultimo, Sez. 6, n. 25275 del 23/05/2018, Rv. 274727: “il giudice per le indagini preliminari, a fronte della richiesta contenente un’errata qualificazione giuridica del fatto, è tenuto a disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art.459 cod. proc. pen., senza potere emettere sentenza ex art. 129 cod. proc. pen. con riferimento al reato erroneamente contestato”.)