Opal replica a un articolo di Armi e Tiro, fornendo dati a dir poco bislacchi: l’analisi si conferma profondamente distorsiva
Giorgio Beretta, analista di Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa) ha risposto al nostro articolo nel quale si evidenziavano i limiti delle propalazioni diffuse negli ultimi mesi dall’associazione. Riportiamo integralmente il suo contributo, al quale rispondiamo, di seguito, punto su punto.
“In merito all’articolo segnalo innanzitutto che correttezza vorrebbe che quando si fa riferimento ad una fonte nota e pubblica, essa venga citata precisamente, indicandone il nome. L’Osservatorio Permanente sulle Armi leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) di Brescia non è “un’associazione anti-armi”, ma – come riporta lo Statuto – per “il controllo della diffusione di armi”. Non rendersi conto di questa sostanziale differenza rappresenta un grave problema di comprensione della materia a parte della sua rivista. Tralasciando le considerazioni riguardo agli incidenti in montagna e altre facezie presenti nell’articolo, segnalo una grave (e mi auguro non voluta) distorsione del calcolo statistico presente nell’articolo. Ad un certo punto vi si afferma che “l’incidenza di omicidi commessi dai legali detentori di un porto d’armi è dello 0,0039 per cento”. La distorsione consiste in questo: come correttamente viene detto all’inizio dell’articolo, tutti gli Istituti di ricerca indicano l’incidenza di un fenomeno in base alla popolazione: questo viene fatto per rendere i dati comparabili e confrontabili. Nel caso degli omicidi, gli Istituti di ricerca indicano il “tasso di omicidi” su 100mila abitanti. Secondo l’Istat, il tasso di omicidi in Italia è pari a 0,59 omicidi su 100mila abitanti (vedasi: http://bit.ly/2qFHFjh). Il calcolo è presto fatto ed è questo: (Numero omicidi / Popolazione) x 100.000. Nello specifico: (357 omicidi / 60.483.973 abitanti in Italia) x 100.000 = 0,59 che è il tasso di omicidi volontari in Italia). Per agevolare ai suoi lettori la comprensione dell’equazione anche con un’illustrazione, può vedere qui: http://bit.ly/2E6cjW4.
Sulla base dello stesso calcolo, se consideriamo che – come da voi indicato – la popolazione di detentori noti di “licenze per armi” sarebbe di 1.315.700 persone, il tasso di omicidi dei detentori di licenza è da calcolarsi cosi: (49 omicidi di legali detentori / 1.315.700 licenze) x 100.000. Ne risulta un tasso omicidiario di 3,72 che, come si può ben vedere, è più di sei volte maggiore di quello della popolazione italiana (0,59). Similmente, anche assumendo che vi siano 4 milioni di italiani che detengono legalmente un’arma, il tasso di omicidi (sempre considerando i 49 omicidi di legali detentori riportati da OPAL, escluse le due vittime di Cisterna di Latina), il tasso di omicidi risulta di 1,22 cioè più del doppio di quello della popolazione italiana (0,59). In parole semplici e chiare, nel 2018 i legali detentori manifestano un tasso di omicidi almeno doppio rispetto alla popolazione italiana. OPAL non ha mai sostenuto che si tratti di “un’emergenza nazionale”, ma questo dato, insieme ad altri, rappresentano certamente elementi su cui riflettere sopratutto per verificare se le norme per il rilascio delle licenze per armi siano tuttora in grado di garantire la sicurezza dei cittadini o se invece, alla luce dell’attuale contesto in cui prevalgono sempre più gli omicidi di tipo familiare e interpersonale rispetto a quelli anche di tipo mafioso, non si renda necessaria un’ampia revisione delle norme che regolamentano le licenze per armi introducendo maggiori restrizioni e sopratutto intensificando i controlli anche introducendo test annuali di tipo clinico e tossicologico sui legali detentori di armi”.
Al di là di quelle che possono essere le forme dialettiche scelte per l’articolo in questione, l’associazione non poteva essere confusa con altra. Relativamente alla natura dell’associazione, proprio lo statuto di Opal menziona tra gli scopi sociali il fatto di fornire istruzione e formazione per “il concreto perseguimento, da parte dei soggetti interessati, di percorsi di riconversione industriale possibile delle fabbriche d’armi”. Risulta quindi evidente che lo scopo dell’associazione non sia esclusivamente quello di “controllare” la diffusione delle armi, bensì quello di arrivare a una progressiva eliminazione delle armi e relativi produttori. D’altro canto la stessa associazione sul proprio sito evidenzia di far parte del network “Rete italiana per il disarmo”, che con il semplice “controllo” ha ben poco a che fare. Al di là, quindi, di come l’analista Giorgio Beretta preferisca definire la propria associazione, magari per accreditare una “indipendenza” nei confronti della stampa non specializzata, la verità sostanziale dei fatti che sta alla base della deontologia professionale giornalistica impone di chiamare la sua associazione per ciò che è, cioè una associazione anti-armi. Posizione, sia chiaro, che è del tutto degna e legittima. Forse è a Beretta che non è del tutto chiara la comprensione del fatto che definirsi “indipendenti” ed essere effettivamente “imparziali” rispetto alla trattazione di una determinata materia, sono due concetti profondamente differenti.
Relativamente ai numeri, siamo ovviamente contenti che finalmente l’associazione abbia cominciato a familiarizzare con le metodologie previste dai normali istituti statistici. Probabilmente manca ancora un po’ di pratica ed è per questo motivo che il calcolo da fornito è del tutto sprovvisto di significato. Non si comprende, infatti, come a fronte di 49 (e non più 51? Bravi, si comincia a fare progressi…) omicidi commessi in un Paese di 60 milioni di abitanti, il tasso per 100 mila abitanti possa diventare di 3,72: riportando il tasso di 3,72 omicidi alla popolazione di 60 milioni di abitanti (più precisamente 60.483.973, come riportato), come per magia gli omicidi da 49 diventano 2.250 (giacché il rapporto tra 100 mila abitanti e 60.483.973 è di 604,84). Forse conviene che l’associazione si faccia aiutare da qualcuno che abbia un minimo di dimestichezza con la matematica, e con la statistica, se non altro per risparmiare figure di questo genere. Risulta abbastanza chiaro che, una volta messo in rapporto il numero di omicidi con il numero di soggetti in possesso di un porto d’armi, tale rapporto (in valore assoluto o in percentuale) risulti costante a prescindere dal numero di abitanti in base al quale lo si voglia rapportare, giacché moltiplicando o dividendo due fattori per un medesimo numero, il risultato non cambia. I due elementi distinti (numero di omicidi commesso dai legali detentori e numero di legali detentori) possono essere messi singolarmente in relazione con una determinata popolazione; il loro rapporto, invece no.
Relativamente al concetto di “emergenza nazionale”, anche in questo caso i termini sono una cosa e il loro significato è un’altra: se si sceglie (come ha fatto Giorgio Beretta, per di più reiteratamente) di accostare i legittimi detentori di armi al fenomeno mafioso, con i toni e i modi scelti, non c’è un altro significato possibile che non sia quello di presentare il fenomeno dell’impiego distorto delle armi legalmente detenute come un fenomeno, appunto, emergenziale. E, infatti, il suggerimento di sottoporre tutti i legali detentori di armi a controlli clinici e tossicologici annuali, quando (per esempio) un termine ritenuto congruo a livello di Unione europea nel 2017 è di 5 anni, rappresenta proprio la risposta a una vera e propria emergenza nazionale. Che esiste, purtuttavia, solo nelle intenzioni e nei calcoli impossibili di Opal e Beretta.