La sentenza del Tar Lazio (sezione prima Ter) n. 4381 del 13 marzo 2023, ribadisce con forza il principio secondo il quale non è sufficiente che nei confronti di un cittadino sia stata presentata una querela o una denuncia, perché l’autorità di pubblica sicurezza possa procedere al divieto di detenzione delle armi e al ritiro del porto d’armi, senza svolgere una accurata verifica (e congrua motivazione) sulla pericolosità effettiva del soggetto.
Il caso in oggetto è piuttosto eclatante: a dare l’avvio alle procedure di ritiro delle armi e della licenza per Tiro a volo è stata una querela presentata dalla moglie del ricorrente, per violenza privata consumata in ambito famigliare ex art. 610 cp, secondo la motivazione che “la condotta posta in essere dal ricorrente sarebbe consistita esclusivamente nel mutato atteggiamento nei confronti della consorte, mostrandosi scostante e particolarmente silenzioso”.
I giudici, nell’accogliere il ricorso (annullando quindi i provvedimenti dell’autorità di Ps), hanno osservato che “nella denuncia – querela proposta, in base a quanto si legge nella descrizione del fatto riportato dalla querelante e riassunto dai Carabinieri che hanno ricevuto la denuncia-querela, la condotta posta in essere dal ricorrente sarebbe consistita esclusivamente nel mutato atteggiamento nei confronti della consorte, mostrandosi scostante e particolarmente silenzioso; i timori espressi dalla querelante non risulterebbero essersi tradotti in nessuna azione integrante il reato prospettato di violenza privata o di maltrattamenti in famiglia; anche la testimonianza della figlia smentisce la sussistenza di condotte di reato a carico del ricorrente come anche di comportamenti tali da costituire serio indizio di utilizzo improprio delle armi, quali una minaccia o altro; i Carabinieri riferiscono inoltre di avergli ritirato l’arma a titolo precauzionale “sebbene la sua condotta non avesse mai destato sospetti a quest’ufficio circa l’insorgere di scatti d’ira o situazioni pericolose verso l’incolumità pubblica”. Le circostanze sopra riportate mettono in dubbio la sufficienza dei presupposti sia della revoca della licenza che del divieto di detenere armi, non risultando integrare quel pericolo concreto di abuso nell’uso delle armi richiesto dalla legge per l’adozione dei provvedimenti qui gravati. Se è certamente vero che nel nostro Ordinamento Giuridico la detenzione delle armi non corrisponde a diritti il cui affievolimento debba essere assistito da garanzie di particolare ampiezza, bensì ad un interesse reputato senz’altro cedevole a fronte del ragionevole sospetto o pericolo di abuso che può essere valutato anche solo in considerazione dell’imprevedibile futuro scorretto utilizzo, d’altro canto la situazione nella quale il ricorrente è stato denunciato dalla moglie per fatti peraltro non integranti né la violenza privata, né i maltrattamenti in famiglia, meritavano un maggiore approfondimento. A fronte delle osservazioni prodotte dal ricorrente ed alla luce del contenuto della notizia di reato redatta dai Carabinieri, l’Amministrazione, dopo il ritiro cautelativo dell’arma, avrebbe dovuto meglio indagare la fondatezza delle circostanze poste a base del giudizio di inaffidabilità nell’uso delle armi e motivare più analiticamente in merito alle ragioni per le quali poteva ravvisarsi il pericolo di abuso dell’arma. A ben guardare la querela non conteneva fatti che avvalorassero il sentimento di paura che la denunciante affermava di provare nei riguardi del coniuge ed anche la prospettazione della situazione di tensione, rappresentata dalla moglie del ricorrente, non era in alcun modo derivata da atteggiamenti forieri di condotte pericolose o aggressive, quanto piuttosto da una situazione di distacco e disinteresse propedeutica alla prossima separazione dei coniugi. Il ricorrente, inoltre, risulta titolare di licenza da quarant’anni e non risulta che lo stesso sia mai incorso in violazioni delle disposizioni in merito all’uso delle armi. Ulteriore conferma della carenza dei presupposti può ravvisarsi nelle ragioni della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero ed accolta dal Gip”.