Saviano, Zingaretti, Martina: la legittima difesa secondo la sinistra

A colpi di benaltrismo, qualunquismo e ritornelli triti e ritriti, gli esponenti della sinistra affrontano il tema della legittima difesa. Con effetti sconfortanti Era ovvio che sarebbe andata così. Ma fa ugualmente impressione. Farebbe ridere, se non fosse che si sta parlando di una tragedia personale in pieno svolgimento, quella del gommista Fredy Pacini che a Monte San Savino (Ar) ha sparato a un ladro introdottosi nella sua officina armato di piccone, e adesso dovrà sostenere un processo. Ma la tragedia in realtà riguarda un po’ tutti gli italiani, o meglio quegli italiani che si scoprono, giorno dopo giorno, indifesi nei confronti di una criminalità definita “micro” ma che non per questo non è in grado di toglierti la vita, depredandoti giorno dopo giorno nella più assoluta impunità.
Stiamo parlando dei commenti delle “anime belle” della sinistra, da Roberto Saviano a Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio. Senza dimenticare il segretario uscente del Pd, Maurizio Martina.
Ma procediamo con ordine: il primo in ordine di importanza e visibilità è senz’altro Saviano, l’alfiere del politicamente corretto, che con ammirevole benaltrismo sulle pagine (elettroniche) di Repubblica.it propone arditi parallelismi (tanto arditi da risultare incomprensibili) tra un cittadino onesto che decide di acquistare un’arma per la tutela della propria incolumità e la “cultura” delle armi da parte dei guappi della camorra, nel cui contesto territoriale è toccato in sorte a Saviano di crescere. Ciò per dire, alla fine, che la colpa di tutto è di Matteo Salvini, il quale invece di manifestare la propria vicinanza al povero Pacini, per Saviano avrebbe dovuto dire: “ci dispiace che tu abbia dovuto sparare per difenderti. Ci dispiace che lo Stato non ti abbia dato supporto, ci dispiace che tu abbia dovuto subire trentotto furti, che tu sia stato costretto a dormire in officina per proteggere ciò che possiedi”. Ma, attenzione, Salvini “non ha chiesto scusa e con la sua comunicazione social ha offeso chi dipende dal suo ministero. Chi invita i cittadini a difendersi da soli, dice implicitamente che le forze dell’ordine sono incapaci di svolgere il proprio lavoro. Una tale bestialità la si può tollerare come chiacchiera da bar, ma non se a dirla sono rappresentanti del governo. Oltretutto è una comunicazione criminale: invitare implicitamente o esplicitamente i cittadini ad armarsi e a difendersi da soli è pericolosissimo perché l’esito di un duello tra persone armate è sempre incerto, e tra un cittadino per bene e un malvivente con la pistola, secondo voi chi avrebbe la meglio?”.
Gli ha fatto eco il presidente della Regione Lazio e aspirante leader Pd, Nicola Zingaretti, secondo il quale “i cittadini devono pretendere che sia lo Stato a difenderci. Se c'è bisogno di sicurezza urbana, lo Stato la rafforzi perché non è accettabile che una persona sia, così, alla mercé della insicurezza. È anche sbagliato il messaggio di dire noi non ce la facciamo, compratevi una pistola e pensateci voi. Penso che anche questo sia un messaggio pericoloso”.
Per quanto riguarda il fatto che il ministro dell’Interno Salvini avrebbe dovuto chiedere scusa a nome dello Stato, siamo assolutamente d’accordo, visto che il ministro dell’Interno pro tempore rappresenta lo Stato e la pubblica sicurezza: risulta, però, a nostro avviso altrettanto giusto che siano anche i precedenti ministri dell’Interno a chiedere scusa a Fredy Pacini, visto che questo “andazzo” (cioè la sequenza di furti nella sua officina) a quanto pare andava avanti dal 2014 nell’apparente indifferenza (o impotenza) da parte delle istituzioni. Anche i parlamentari che hanno promosso in questi anni depenalizzazioni e “sconti” per determinati reati, forse dovrebbero farsi un piccolo esame di coscienza. Anche perché, nel frattempo, pare che il moldavo di 29 anni deceduto per mano di Pacini non fosse proprio esattamente “sconosciuto” alla Ps italiana. Anzi, secondo le ultime notizie diffuse dalla Adnkronos, pare che avesse diversi precedenti per furto e che risultasse attualmente latitante, perché colpito da un ordine di carcerazione della procura di Milano. Chissà, magari se il decreto sicurezza di Salvini fosse stato approvato anche solo un paio di anni fa, invece di essere morto, il moldavo sarebbe stato semplicemente rispedito nel suo Paese d’origine. O forse anche no. Comunque, per non sbagliare, il segretario uscente del Pd Maurizio Martina ha lanciato l’iniziativa di raccogliere le firme per un referendum abrogativo per la conversione in legge del decreto sicurezza di Salvini. Così, giusto per non sbagliare!
Al di là delle diatribe e delle contrapposizioni politiche, comunque, ciò che evidentemente a sinistra non si riesce a comprendere è la differenza che esiste tra controllo del territorio da parte dello Stato e legittimità a difendere la propria incolumità nella propria casa o nel posto di lavoro: ancora una volta, infatti, si racconta e si pretende che si tratti di concetti in assoluta contrapposizione, mentre invece sono assolutamente complementari. Se Fredy Pacini ha dovuto far uso della pistola, evidentemente lo Stato non è riuscito ad arrivare prima del ladro davanti alla sua porta: adesso, però, lo Stato ha il dovere di non abbandonare Pacini, consentendogli di dimostrare le proprie ragioni in tempi ragionevoli e senza doversi rovinare economicamente. Cercando, nel frattempo, di potenziare il controllo del territorio perché fatti del genere non debbano più accadere. Altrimenti, lo Stato dovrà chiedere scusa a Pacini due volte, non soltanto una.
Ci sia anche consentito di rispondere alla domanda di Saviano con un’altra domanda: secondo te, Saviano, tra un cittadino disarmato e un malvivente con un piccone, chi avrebbe la meglio?
Per Zingaretti e Martina, invece, la domanda è: ma se al posto di cantarvela e suonarvela tra di voi, ascoltaste la vostra stessa base elettorale? Finché di essa sia rimasto qualcosa…