La Regione Abruzzo ha deciso un piano di abbattimento nei confronti del cervo in due aree dell’Aquilano. In zone non protette, al di fuori dei parchi, e solamente da selecontrollori abilitati. Il Vicepresidente della Giunta Regionale con delega alla Caccia e Pesca, Emanuele Imprudente, ha dichiarato che “Negli ultimi anni i danni causati dai cervi hanno superato in molte zone interne i danni alla colture causati dai cinghiali… emerge la presenza di un numero di capi più del doppio rispetto a quello del 2018”. Il Wwf è insorto sul provvedimento. Sicuramente perché è stato fatto notare loro da molti, noi compresi, che gli abbattimenti di tutte le specie in esubero non li avevano mai visti minimamente interessati. Al contrario invece del grande e roboante impegno che li vede in prima linea su qualunque provvedimento tendente a limitare il numero degli orsi. Anche soltanto uno, se problematico. Secondo loro la decisione è stata presa “per accontentare un piccolo gruppo di cacciatori…”. Qui serve un chiarimento: visto che siamo un “piccolo” gruppo, figuriamoci se la politica ha interesse a darci premi. Ma il secondo e più importante concetto è che, una volta per tutte, sono al contrario i cacciatori che accontentano loro: i gestori, i politici e gli amministratori dei territori. In quanto con i nostri soldi, con la nostra licenza (circa 700 euro l’anno tra tutto), con le nostre macchine, con le nostre attrezzature, con la nostra benzina e con il nostro sonno, fatica e tempo libero, andiamo a togliere le castagne dal fuoco a un animalismo che ha reso per anni intoccabili le specie. Nei parchi soprattutto, e che ha creato il dissesto faunistico continuamente sotto i nostri occhi. Il ritornello naturalmente è che “La gestione della fauna non può essere trattata come se fosse un problema venatorio, né si può ricorrere ai fucili come unica soluzione”. Bontà loro indicassero altre soluzioni gratis, perché fino adesso paghiamo noi cacciatori, al di fuori delle baggianate dei trasferimenti, delle adozioni, delle sterilizzazioni e corbellerie varie. Purtroppo millantate dai soliti “tecnici” tuttologi della loro parte ben noti. Ma il resto è ancora peggio. “Quante azioni risultano messe in campo? Come potenziamento dei sottopassi, costruzioni di sovrappassi, dissuasori?”. Praticamente per i loro errori dobbiamo stravolgere l’Abruzzo intero, come afferma Filomena Ricci, delegata Wwf Abruzzo. Poi mettono mano alla biodiversità. Che come abbiamo già chiarito, significa proprio limitare le specie in eccesso, tutte, per ristabilire un ordine di presenza equilibrata in base al territorio disponibile. Ma la parte più oltranzista arriva quando dichiarano “la visone di un Abruzzo capace di convivenza con la fauna selvatica”. Ovvero la dignità degli animali selvatici secondo loro è il penoso e degradante spettacolo dei cervi che mendicano mele e granaglie, in cambio di carezze, a spasso nei paesi dell’Abruzzo stesso. Che è l’ultimo gradino prima della fine per una specie che ormai vede nell’uomo l’unico sostentamento. Ma dove è finita la nostra fauna? Dove si vuole mettere la selvaticità, la conservazione dell’istinto naturale e di sopravvivenza? Prima si chiedono a gran voce cassonetti anti-orso e poi si plaude alla “convivenza pacifica tra uomo e animali”?. Anche Claudio Cia, Consigliere Provinciale del Trentino, si è espresso sullo stesso problema, affermando che “Molti animalisti promuovono il concetto idealistico di convivenza con i grandi predatori, tuttavia, dal punto di vista ideologico questo concetto è assolutamente inappropriato: gli animali selvatici non devono convivere con l’uomo. È fondamentale che mantengano la massima distanza possibile agli ambienti umani per garantire loro salute e sicurezza… la soluzione non risiede nella convivenza, semmai nella coesistenza”. E non certo ridurli in pecore abuliche tipo i penosi stambecchi del Gran Paradiso, cacciatori professionisti di panini.