Il colpevole, reo confesso, dell’omicidio di Sharon Verzeni è stato identificato e arrestato. C’è già chi dice che “giustizia è fatta”, ma francamente non siamo affatto d’accordo con questa affermazione: giustizia sarà fatta nel momento in cui ci sarà una condanna adeguata e proporzionata alla gravità del crimine commesso. Il quale crimine risulta tanto più angosciante per i parenti della povera giovane e per i cittadini italiani in generale, in quanto apparentemente senza un perché. Infatti il 31enne Moussa Sangare avrebbe affermato che non ci sia stato uno specifico motivo per il quale ha deciso di accoltellare la sua vittima. Come ha osservato il procuratore che si sta occupando delle indagini, quindi, Sharon Verzeni sarebbe morta perché si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ben magra consolazione, a ben guardare.
Intanto si è già evidenziato che Sangare potrebbe presentare “profili di interesse psichiatrico” ancora da valutare nella loro interezza, di certo c’è che il ragazzo era stato denunciato da madre e sorella per maltrattamenti, aveva incendiato la casa di famiglia per poi trasferirsi in un appartamento occupato abusivamente e faceva abituale uso di stupefacenti. Al di là delle denunce, c’erano state a quanto pare reiterate segnalazioni alle forze dell’ordine e ai servizi sociali rispetto ai comportamenti aberranti sfoggiati dal giovane, senza tuttavia apparenti interventi al riguardo.
Ma quale raptus
L’omicida ha parlato di “raptus”, sta di fatto che il suo delirante piano omicida risulta essere stato pianificato con lucidità, sia prima del delitto (portando con sé ben quattro coltelli) sia dopo (il coltello usato per l’omicidio è stato seppellito, gli altri tre gettati nell’Adda, così come gli abiti indossati al momento del crimine).
Saranno ovviamente poi le successive indagini e il procedimento penale a definire nel dettaglio la dinamica e le motivazioni del gesto, c’è tuttavia da attendersi che venga invocata l’infermità mentale totale o parziale.
Stupefacenti e malattie mentali
La correlazione tra consumo di stupefacenti ed esasperazione di eventuali problematiche mentali esiste. Ed entrambi i fattori, cioè il consumo di sostanze psicotrope e il disagio mentale, sono in aumento in Italia. Per quanto riguarda gli stupefacenti, a dirlo è la relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia del 2024, presentata a fine giugno, la quale dà conto di un aumento sia del consumo di sostanze, sia dei reati collegati. L’aumento è in particolare focalizzato sulla fascia d’età tra i 15 e i 19 anni e ben il 39 per cento della popolazione studentesca riferisce di aver consumato una sostanza illegale almeno una volta nella vita (il 28 per cento nell’ultimo anno).
La Società italiana di psichiatria a inizio 2024 ha invece dato conto di un aumento del 28 per cento dei disturbi mentali negli ultimi tre anni, con in particolare un aumento di cinque volte dei sintomi depressivi. A fronte di ciò, la diagnosi e il trattamento delle patologie mentali risulta reso più difficile dalla costante diminuzione delle risorse economiche pubbliche per il fondo sanitario per la salute mentale. In deciso sotto-organico sono anche i professionisti che dovrebbero occuparsi del problema: secondo l’intesa Stato-Regioni 2023, gli psichiatri dovrebbero essere almeno 1 per 10 mila abitanti maggiorenni, a fronte di un fabbisogno nazionale di almeno 5 mila specialisti ne risultano in servizio 3.636 e il numero di posti letto nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura è in sotto organico di 1.241 posti. Carenze che non è verosimile possano essere colmate nell’immediato, atteso il fatto che l’attuale situazione di disagio vissuta dai professionisti della sanità pubblica rende poco appetibile la partecipazione ai concorsi da parte di potenziali nuovi medici, rispetto al settore privato.
In tutto ciò…
Il preambolo evidenzia come le situazioni “alla Sharon Verzeni”, purtroppo, siano destinate a non restare casi isolati e, in effetti, risultano esserci drammatici precedenti nel recente passato, uno su tutti l’omicidio dei murazzi di Torino, anch’esso compiuto “senza un perché”.
Su tutto questo, va ricordato, c’è la quotidiana guerra dichiarata da prefetture e giudici amministrativi nei confronti del rilascio e del rinnovo dei porti d’arma per difesa personale, con motivazioni, da parte delle une e degli altri, volte a propalare una immagine di criminalità sotto controllo da parte delle forze dell’ordine e, soprattutto, di monopolio esclusivo del contrasto alla criminalità da parte delle forze dell’ordine (questa la strabiliante motivazione addotta in almeno due recenti sentenze dei Tar). La realtà è, come si può notare, un tantino diversa: innanzi tutto (e non dovremmo essere noi a spiegarlo a un giudice) perché il contrasto alla criminalità è cosa ben diversa rispetto all’autodifesa in un frangente di pericolo immediato e attuale; in secondo luogo perché, secondo quanto risulta evidente dal caso Verzeni e dalle relative statistiche, situazioni di disagio mentale “alla Sangare” saranno, negli anni a venire, prevedibilmente in aumento in Italia, specialmente nel caso in cui dovessero avere successo le spinte politiche nei confronti della liberalizzazione delle droghe leggere.
Di certo c’è che la situazione non può esaurirsi, sotto il profilo degli interventi da parte dei reggitori della cosa pubblica, con il cordoglio generale per la povera Sharon.