«È venuto il momento per me, in qualità di ministro delle politiche agricole e quindi competente in materia venatoria, di intervenire sulla campagna anticaccia cui va posto termine». Così in una nota all’Agi il ministro delle Politiche Agricole, Giancarlo Galan.
«Premetto che non è possibile subire l’egemonia culturale, per esempio, di chi si schiera su posizioni estreme anche a difesa di specie animali che creano seri problemi ambientali, e questo – aggiunge – senza alcun rispetto delle specie autoctone e della biodiversità, da difendere soprattutto conservando gli ambienti. È ben noto che la caccia è un’attività praticata ovunque nel mondo, e se c’è chi vuole vietarla nel nostro Paese, ciò significa che c’è chi sta dalla parte dei cacciatori, ma solo di quelli che possono permettersi costosi viaggi all’estero alla ricerca di riserve e di privilegi venatori che il cacciatore normale non può concedersi. Ma le ripetute campagne anticaccia contribuiscono a danneggiare uno storico settore della nostra economia, dato che in Italia esiste da secoli una qualificatissima industria per la caccia, intorno a cui ruota da sempre un sistema produttivo tutt’altro che secondario, e dove ci sono molte eccellenze del made in Italy. Insomma, avverto come terribilmente noioso il cercare di spiegare che il vero cacciatore è persona che ama e difende la natura, il territorio, l’ambiente, nel senso più corretto del termine. Purtroppo è vero invece che tra amnesie, infrazioni, ricorsi, sentenze, deroghe e quant’altro, il mondo della caccia è assediato da un clima irrespirabile, fatto di assurdità e prepotenze di vario genere. In sintesi, è indispensabile definire al più presto nuove regole, mediante una revisione della legge 157, regole che siano condivise dalle Regioni e dall’Unione Europea, dato che è proprio in sede comunitaria che andrebbe aperto un tavolo per ridiscutere l’intero sistema della caccia. Mi conforta infine sapere che ben 92 senatori del Pdl, in pratica quasi la totalità dei senatori del mio partito, hanno redatto un documento con cui dichiarano che non voteranno le proposte del ministro Brambilla, in quanto non facenti parte del programma di governo, ma soprattutto perché da loro non condivise».