La Sig Sauer Sp 2022, diretta evoluzione della prima polimerica dell’azienda svizzero-tedesca, la Sig pro 2340, deve contendersi il mercato con numerose altre pistole polimeriche: nonostante questo, ha saputo ritagliarsi importanti spazi nel settore militare e del law enforcement, tra i quali spiccano le forniture alla polizia e alla gendarmeria francesi. Il merito? Sicuramente il prezzo vantaggioso, unito però a caratteristiche di robustezza e affidabilità di prima qualità.
Abbiamo potuto tastare superficialmente alcune di queste doti, ma ci è rimasta la curiosità di verificare più profondamente i limiti strutturali del progetto nelle condizioni più estreme. Preso contatto direttamente con la Sig Sauer, ci siamo fatti mandare (attraverso il distributore italiano Bignami, che ci ha fornito preziosa collaborazione) una pistola da “torturare”.
Ricevuta la pistola, prima ancora di sparare un colpo abbiamo misurato il peso di scatto che è risultato di 2.470 grammi in Singola azione e 4.520 grammi in Doppia azione. Abbiamo, quindi, effettuato una rosata-campione per avere un riscontro della precisione “prima della cura”. Bersaglio a 25 metri, dieci colpi in rapida successione utilizzando cartucce Fiocchi Top Target con palla ramata tronco conica di 124 grani. Abbiamo ottenuto una rosata di 64 mm. Abbiamo, quindi, caricato 10 colpi con palla in piombo di 124 grani Round nose spinta da 6 grani di Vihtavuori 3N37 e ne abbiamo cronografati 5 per verificare la deviazione standard, che è risultata di 2,19 m/sec. I cinque rimanenti li abbiamo messi da parte per la fine delle prove. Il test iniziale è stato anche uno dei più traumatici: la prova di 5.000 colpi effettuata presso il balipedio della Fiocchi di Lecco. Per la prova abbiamo impiegato cartucce Fiocchi Top target con palla di 124 grani e ben 67 caricatori (di cui 10 provenienti dalla Sig Sauer e 57 prodotti in Italia). Abbiamo misurato il diametro dell’anima della canna: il tampone di 8,82 mm passava da parte a parte, mentre quello di 8,83 mm non passava.
L’uso di guanti si è dimostrato indispensabile, in quanto il surriscaldamento è notevole. Dopo i primi seicento colpi ci siamo presi una pausa per misurare la temperatura della camera di scoppio, che è risultata di 168 gradi, molto elevata. Pertanto abbiamo raffreddato rapidamente la pistola buttandola nell’acqua per poi riprendere immediatamente. Terminati i primi mille colpi abbiamo nuovamente riempito i caricatori e abbiamo smontato la pistola, pulendo la canna. Abbiamo nuovamente misurato l’anima della canna con i calibri tampone, questa volta quello di 8,83 mm non aveva problemi a passare mentre quello di 8,84 mm non passava.
Siamo poi passati alla seconda sessione di tiro, altri 1.000 colpi. Questa volta non ci siamo fermati a quota 600 o, meglio, abbiamo tentato di continuare: al 613° colpo abbiamo avuto il fatidico cook-off immediato. Il tempo di capire cosa fosse successo, prendere il pirometro e misurare la canna: abbiamo riscontrato una temperatura della camera di scoppio di 174 gradi. Vista la situazione, abbiamo deciso di frazionare le sessioni di tiro ogni 500 colpi, con raffreddamento in una vaschetta di acqua fredda, per riprendere subito dopo. Dopo 2.000 colpi, le solite tre passate con scovolo di rame e una con quello di crine abbiamo nuovamente misurato la canna e i valori sono rimasti identici ai precedenti.
Quando mancavano solo 1.500 colpi, abbiamo dato il via a una gara di velocità tra i presenti. Un primo dipendente Fiocchi ha sparato i 500 colpi in 5 minuti, 40 secondi, 49 centesimi e… tanta jella: nel corso della sessione di tiro, infatti, si sono verificate due cameratura incomplete che hanno portato via qualche secondo prezioso. Giunti ormai a quota 4.000 colpi, prima del rush finale abbiamo ancora una volta preso le misure dell’anima della canna dopo le canoniche quattro scovolate: questa volta il tampone di 8,83 mm passava perfettamente ma non quello di 8,84 mm. Nonostante le mancate camerature, la pistola non presentava segni di eccessiva sporcizia, pertanto senza pulirla ci siamo lanciati nella corsa finale. Altri 500 colpi li ha sparati un secondo dipendente Fiocchi in 4 minuti e 48 secondi e, infine, raffreddata la pistola nell’acqua mi sono cimentato anch’io nella gara: per non diminuire il ritmo ho dovuto usare la mano forte e quella debole, il dito indice, il medio e l’indice della mano debole, sparando i miei 500 colpi in 5 minuti, 5 secondi e 44 centesimi. La misurazione finale della canna ha ancora una volta evidenziato il passaggio completo del tampone di 8,83 mm, ma non quello del tampone di 8,84 mm.
I residui carboniosi sono rimasti a livelli estremamente contenuti, senza la minima traccia di polvere incombusta. Solo la parte superiore della camera di scoppio, in origine perfettamente bianca, presentava alcune tracce di tartarugatura dovute al repentino raffreddamento in acqua. Le guide di scorrimento sul fusto presentavano, infine, un’usura leggermente superiore sul lato destro, un dettaglio appena percettibile. Abbiamo voluto verificare la “tenuta” della pistola sparando sott’acqua: pertanto, riempito il caricatore e camerata la prima cartuccia abbiamo immerso completamente l’arma e abbiamo tirato il grilletto. Il colpo è stato sparato regolarmente e il proiettile ha percorso circa 3 metri, il bossolo è stato estratto e espulso ed è stata camerata la seconda cartuccia che, però, non siamo riusciti a sparare in quanto l’acqua entrata nella sede del percussore ne ha rallentato la corsa, impedendogli di avanzare con sufficiente forza per accendere l’innesco. Abbiamo provato a ripetere la prova tirando fuori l’arma dall’acqua e tentando di scaricare il canale del percussore sparando diversi colpi a vuoto, ma non siamo riusciti a svuotarlo a sufficienza.
Per sparare il colpo successivo abbiamo dovuto impiegare l’aria compressa per liberare la sede, quindi abbiamo immerso la pistola nell’acqua e abbiamo sparato subito, senza aspettare che tutte le parti si riempissero completamente di acqua. Questa volta siamo riusciti a sparare un ulteriore colpo di seguito. Da questa prova emerge che, per operazioni che prevedono l’utilizzo della Sp 2022 in ambiente marino o, comunque, con possibilità di contatto diretto con l’acqua, può rendersi opportuno l’impiego di un percussore specifico con scarichi per l’acqua e, magari, praticare uno o più fori nella sede del percussore in modo da far defluire il liquido (rischiando però, di lasciare aperta una via a polvere o sporcizia). Quello del proiettile piantato in canna è forse uno dei test più ardui da superare per una pistola: il rischio che la canna si gonfi è elevato, in alcuni casi addirittura la deformazione è tale da rompere anche il carrello e il fusto.
Per la prova abbiamo utilizzato una palla ramata a profilo conico e l’abbiamo inserita in canna, con l’apice a 50 millimetri di distanza dalla volata.
Abbiamo quindi inserito una cartuccia e, con un cordino fissato alla leva di comando del rinvio del Ransom rest che va ad attivare il grilletto, abbiamo sparato da posizione riparata. Entrambi i proiettili sono fuoriusciti senza problemi. A questo punto abbiamo smontato la pistola e abbiamo verificato a tampone il diametro interno della canna, che è risultato di 8,83 mm, quindi dello stesso diametro rilevato al termine dei 5.000 colpi. Il diametro esterno della canna è risultato di 14 mm per tutta la sua lunghezza, dal che si deduce che non si sono verificati rigonfiamenti, come peraltro confermato dall’ispezione visiva in controluce.
Per la prova di schiacciamento abbiamo scelto un fondo misto di terra e ghiaia e, come veicolo con cui “calpestare” la Sp 2022, abbiamo optato per un bulldozer, per l’esattezza una pala gommata Komatsu Wa470 a quattro ruote motrici del peso di 23 tonnellate (5,75 tonnellate per asse). Abbiamo piazzato la pistola sotto lo pneumatico anteriore con un caricatore pieno inserito e, alla velocità di circa 5 km/h, siamo passati con il veicolo sulla pistola. Appena “riemersa” da sotto le ruote l’abbiamo recuperata, abbiamo inserito il colpo in canna e abbiamo sparato alcuni colpi: il funzionamento è risultato ineccepibile. La prova è stata effettuata due volte e in entrambi i casi non abbiamo riscontrato malfunzionamenti. La decisione di schiacciare l’arma con il caricatore completo di colpi è stata determinata dalla volontà di ricreare un contesto realistico e, inoltre, non lasciare vuoti nella zona dell’impugnatura, che avrebbero potuto causare un’eccessiva compressione dei polimeri. Comunque, anche il caricatore di lamiera non ha avuto alcun problema.
La prova di immersione della pistola nella sabbia per vedere gli eventuali inceppamenti è stata effettuata con l’arma asciutta, cioè con pochissimo lubrificante, appena sufficiente al corretto funzionamento. La Sp 2022, con un caricatore inserito, il colpo in canna e il cane abbattuto, è stata adagiata sulla sabbia e parzialmente ricoperta, quindi afferrata e subito provata, sparando il primo colpo in Doppia azione. Dopo 10 colpi abbiamo nuovamente ripetuto la prova, ma questa volta abbiamo spinto in profondità la pistola nel mucchio di sabbia in modo da affondarla completamente, anche in questo caso non abbiamo avuto il minimo problema. Per il test del fango, abbiamo preferito puntare su una pozza di acqua fangosa in fondo a una cava di sabbia. Abbiamo inserito il colpo in canna, abbattuto il cane e affondato la Sp 2022 nella melma, avendo cura di impastarla bene con il fondo sabbioso. L’abbiamo quindi estratta, abbiamo lasciato drenare l’acqua per un paio di secondi e abbiamo provato a sparare. In questo caso, la pistola ha avuto alcuni problemi: la sabbia e il fango, molto liquidi, si sono infiltrati nel pacchetto di scatto e nelle guide, pertanto non è stato agevole esplodere il primo colpo, mentre per i successivi in molti casi è stato necessario mandare in chiusura il carrello a mano, in quanto il fango depositato sulle varie superfici impediva la perfetta chiusura. Nonostante questo, siamo comunque riusciti a sparare tutti colpi nel caricatore, eccetto uno che, forse per infiltrazioni d’acqua, non è partito. Mano a mano che il caricatore veniva svuotato l’arma tendeva ad auto-pulirsi e, pertanto, in funzionamento è stato via via più fluido. Non poteva mancare, a questo punto, il test di congelamento: però, invece di mettere la Sp 2022 semplicemente in un congelatore, abbiamo deciso di andare oltre, inglobandola completamente in un blocco di ghiaccio. Quest’ultimo è stato realizzato in due tempi: prima di tutto abbiamo creato un fondo di ghiaccio nel contenitore, sul quale abbiamo appoggiato la pistola; quindi, abbiamo riempito completamente la bacinella di acqua, mettendo il tutto nel congelatore. Se avessimo messo semplicemente la pistola nel recipiente e riempito d’acqua, l’arma sarebbe rimasta sul fondo e, pertanto, fuori dal ghiaccio con un lato. Logicamente, immergendo l’arma “nuda”, durante la fase di congelamento l’acqua che si fosse trovata tra le spire delle molle e negli spazi necessari al funzionamento del grilletto e dei suoi rinvii avrebbe creato spessore, una sorta di muro che ne avrebbe impedito il corretto funzionamento. Per ovviare al problema abbiamo deciso di mettere la pistola entro due sacchetti di plastica destinati al congelamento degli alimenti, e successivamente li abbiamo sigillati. Dopo un giorno intero di permanenza nel congelatore ci siamo recati al Tiro a segno di Milano: il trasporto è stato effettuato con una borsa frigo e, per assicurare la perfetta “freschezza” del nostro blocco, l’abbiamo piazzato per un paio d’ore nella cella frigorifera della club house.
Con alcune martellate, abbiamo rotto il blocco di ghiaccio, estraendo la pistola dalla sua “ibernazione”. Abbiamo, però, scoperto che l’acqua era passata attraverso i due sacchetti, finendo in ogni interstizio. A questo punto avevamo due possibilità: tentare di sbloccare l’arma nel modo più brutale, o aspettare che il ghiaccio si sciogliesse. Naturalmente abbiamo optato per la prima soluzione, pertanto con il martello sintetico abbiamo iniziato a picchiare con energia sui lati, sul cane e sulla volata. Dopo parecchi minuti di lavoro siamo riusciti a far arretrare il carrello di qualche millimetro, ma il nocciolo duro rimaneva la catena di scatto. Abbiamo rimosso l’impugnatura e abbiamo nuovamente iniziato a picchiare con la nostra mazzetta, questa volta direttamente sul pacchetto di scatto. Per le vibrazioni, una spina ha iniziato a uscire dalla propria sede. Finalmente abbiamo sbloccato la catena di scatto: la pistola sembrava funzionare correttamente, pertanto l’abbiamo smontata, abbiamo rimosso con uno scovolo il tappo di ghiaccio in camera di scoppio e l’abbiamo rimontata. Abbiamo cercato di inserire il caricatore, ma un ulteriore blocco di ghiaccio ne impediva il completo inserimento. Ormai stanchi di togliere ghiaccio, dopo tre tentativi siamo passati alle maniere forti e abbiamo inserito il caricatore in sede a martellate. Abbiamo inserito il colpo in canna e abbiamo sparato: nessun problema, la pistola è rimasta integra e il ciclo di sparo è stato assolutamente regolare. Prima della prova finale di resistenza alla corrosione in nebbia salina, abbiamo rifatto le nostre misurazioni. Il peso di scatto è risultato di 2.260 grammi in Singola azione e 4.250 in Doppia, i colpi sparati hanno evidentemente svolto un’azione di autolucidatura dei piani di scatto.
Con le cartucce Fiocchi Top Target 124 grani Tc siamo tornati a effettuare la rosata di 10 colpi in tiro rapido sul bersaglio a 25 metri e, con grande soddisfazione, abbiamo replicato la precedente rosata (anzi, per la verità siamo riusciti a ridurla di 3 millimetri!). Come ultimo test abbiamo riesumato i nostri 5 colpi caricati e li abbiamo cronografati, ottenendo una velocità media di 331 metri al secondo e una deviazione standard di 2,60. Considerando che all’inizio del test la velocità media era stata di 335 m/sec con Sd di 2,19, si può ben dire che la variazione è praticamente nulla. Dopo un lungo percorso a ostacoli siamo finalmente giunti all’ultimo test, il più lungo in ordine di tempo e destinato a valutare la resistenza della finitura dell’arma alla nebbia salina. Per prima cosa abbiamo smontato la pistola e l’abbiamo perfettamente sgrassata con un solvente in modo da eliminare qualsiasi forma di protezione passiva non inerente all’arma. A questo punto, abbiamo preso una bacinella e, tagliando alcuni barattoli vuoti in plastica, abbiamo realizzato due supporti che consentissero all’arma di avere la maggior superficie possibile esposta. Abbiamo quindi preso un po’ di acqua di mare (prelevata direttamente nel golfo del Tigullio) e l’abbiamo versata nella vaschetta, portando il livello dell’acqua un millimetro sotto l’arma. Abbiamo chiuso il tutto con un coperchio creando un paio di fori sui lati in modo da consentire il passaggio dell’aria. In questo modo, l’arma non si sarebbe trovata a diretto contatto con l’acqua, ma di una soluzione di sale e vapore acqueo. I forellini sul coperchio avevano lo scopo di consentire la continua alimentazione della reazione chimica di ossidazione, se il contenitore fosse stato a tenuta stagna, infatti, una volta esaurito l’ossigeno all’interno il processo di ossidazione avrebbe rallentato o si sarebbe fermato. Il contenitore è stato collocato in cima a un mobile vicino ai fornelli della cucina: di giorno, il luogo era molto caldo, favorendo l’evaporazione; di notte, con l’abbassamento della temperatura, si formava condensa nella parte inferiore del coperchio, che precipitava nuovamente verso il basso, finendo anche sulla pistola. La durata del test è stata di un mese e, dopo quindici giorni, la Sp 2022 è stata girata in modo che il lato superiore venisse a trovarsi nella parte inferiore. Allo scadere del trentesimo giorno, a un esame a prima vista, la ruggine risultava presente su tutta la superficie, comunque prima di procedere con le verifiche l’abbiamo lasciata asciugare.
Dopo dodici ore, a pistola asciutta, abbiamo provato subito il funzionamento: la pistola era completamente bloccata. Con una serie di martellate siamo riusciti a sbloccare il carrello e farlo arretrare parzialmente, in modo da ispezionare la camera di scoppio che risultava completamente piena di ruggine. Arretrato ulteriormente il carrello e analizzata la faccia dell’otturatore, anche qui la ruggine era presente in dosi massicce e l’estrattore sembrava un pezzo unico con il resto dell’arma. Infine abbiamo esaminato la canna e anche qui i grumi di ruggine nascondevano quasi totalmente le rigature. Nella parte esterna dell’otturatore, complice l’utilizzo di acciaio inox, la corrosione non è stata completa, ma a macchia di leopardo con camole più accentuate negli spigoli, nei punti di presa e in corrispondenza delle scritte. Smontando il pacchetto di scatto abbiamo osservato che, a dispetto della ruggine abbondante, le molle sono rimaste integre, anche quelle di piccole dimensioni che, generalmente, con un’ossidazione così massiccia tendono a rompersi. La minuteria presentava tracce di ruggine mista a depositi di sale. Il fusto, essendo in polimeri rinforzati, esternamente ha mostrato una lieve colorazione rossiccia data dalla ruggine depositata sugli altri componenti, mentre internamente i depositi di sale l’hanno fatta da padrone, in particolar modo nella zona del dust cover. Il risultato è, grosso modo, quello che ci aspettavamo: un mese di permanenza in nebbia salina è devastante per un’arma, specialmente se non ha la minima protezione (olio, grasso) oltre alla normale finitura superficiale. Non ci aspettavamo, però, che sotto un così povero vestito, il “carattere” della Sp 2022 fosse rimasto inalterato: è bastato, invece, procedere allo smontaggio completo e sfregare le parti in metallo con una spazzola in ottone montata sul mandrino di un trapano elettrico (tipo Dremel o equivalente) per ripristinare interamente il funzionamento. Certo, l’arma non ha più l’aspetto che aveva quando è uscita di fabbrica, ma è ancora perfettamente operativa e non è stato neppure necessario sostituire le molle. L’anima della canna, scovolata a dovere, mostra segni piuttosto evidenti di corrosione, malgrado questo la precisione non ha subìto variazioni di rilievo. Anzi, dopo aver installato le guancette Crimson trace con laser incorporato (la stessa Sig Sauer le offre come optional), i raggruppamenti sono persino diminuiti di diametro!
L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – aprile 2010