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] Negli Stati Uniti il mercato delle armi corte è più variegato che in Europa, per un motivo molto semplice: oltre alle armi per la difesa personale e per il tiro a segno, i costruttori americani hanno sviluppato una classe di armi corte destinate alla caccia che, negli States, è sempre stata consentita. Per i cacciatori, infatti, il prodotto commerciale “tradizionale” può non adattarsi alle necessità “sentite” sul campo e, conseguentemente, si manifesta un “buco” nell’offerta. La caccia ai nocivi (anche detta Varmint), in particolare, necessita di proiettili piccoli e leggeri, spinti a velocità elevate in modo da avere una traiettoria molto tesa. Il proiettile è spesso di tipo espansivo, in modo da disintegrarsi all’impatto (proprio grazie alla elevata velocità e alla ridotta massa) cedendo tutta l’energia nel selvatico senza rovinarne troppo la carne. Se, per la carabina, non sono mancati praticamente mai i calibri idonei a questo genere di attività, gli appassionati del revolver hanno trovato maggiori difficoltà a trovare un prodotto adatto alle loro necessità. Nel corso degli anni Cinquanta, molti sperimentatori decisero di partire dall’ottimo Smith & Wesson 17 calibro .22 Long rifle, ricamerandolo per nuove cartucce wildcat che fossero in grado di esprimere velocità superiori a quelle dell’ anemico rimfire. D’altra parte, la struttura del revolver era perfettamente adatta allo scopo, visto che il telaio (denominato “K” in base alla terminologia dell’azienda) era originariamente nato per il .38 special. Fra i più diffusi calibri sperimentali utilizzati dai cacciatori, figura il .22 Harvey Kay-Chuck, derivato dal .22 Hornet per leggero accorciamento e modifica del profilo del bossolo. Nei revolver Smith & Wesson modificati, offriva una velocità alla bocca, con una palla di 40 grani, di ben 730 m/sec, con un’ energia corrispondente di 70 chilogrammetri. Era proprio quello che serviva ai cacciatori: una cartuccia veloce, dalla traiettoria piatta, con un rinculo contenuto. Ben presto, il fenomeno raggiunse proporzioni tali da non poter essere ignorato dalla Smith & Wesson, che decise quindi di mettere in cantiere un revolver di serie che fornisse prestazioni almeno uguali, se non superiori, al .22 Harvey Kay-Chuck. La realizzazione della cartuccia fu affidata alla Remington, mentre i tecnici della Casa di Springfield si occuparono di “costruirgli intorno” l’arma adatta. La Remington decise di usare come base di partenza una delle più potenti cartucce per arma corta allora disponibili, il .357 magnum. Il bossolo fu dotato di una spalla lunga e molto rastremata, che arrivava alla bocca al fatidico calibro.22. Nonostante la maggiore volumetria, però, la cartuccia duplicava sulla carta le prestazioni della .22 Harvey Kay-Chuck, con il vantaggio però di poter contare su una disponibilità continua di cartucce e di bossoli già pronti, evitando quindi la complicazione della trasformazione casalinga. La Winchester aveva proposto la propria .256 magnum (sempre basata sul .357 magnum), ma si ritenne che non fosse perfettamente rispondente alle richieste del pubblico. Una volta fissate le caratteristiche della cartuccia, il più era fatto. La Smith & Wesson non perse tempo e allestì un revolver idoneo, modificando il modello 19 calibro .357, sempre basato sul telaio K del modello 17. La nuova creatura fu battezzata modello 53. Visto che la canna era forata a .22, si decise di offrire la possibilità di utilizzare, con la stessa arma, anche le più economiche .22 lr. Il passaggio dalla percussione anulare a quella centrale avveniva grazie a due percussori distinti, a grano riportato sul castello, che venivano colpiti a scelta agendo su un selettore sul cane. Si poteva mantenere lo stesso tamburo, introducendo nelle camere appositi adattatori, oppure ordinare come optional un tamburo specifico, camerato per il .22 lr. La produzione iniziò il 30 marzo 1961, con il numero di matricola K429.000. L’arma fu proposta solo con finitura brunita, con canne lunghe quattro pollici, sei oppure 8 3/8. Contemporaneamente all’introduzione in commercio del modello 53, si decise di modificare la filettatura dell’alberino di estrazione dei bossoli da destrorsa a sinistrorsa: tutti i 53, quindi, sono dotati di questa nuova caratteristica. Dopo meno di un anno dal debutto sul mercato, fu decisa una prima modifica, consistente nella soppressione della vite posta di fronte al ponticello, che tiene in sito il dente di blocco del tamburo. Il nuovo modello fu denominato 53-2, seguendo lo schema già adottato con gli altri modelli dell’azienda. Il riscontro da parte del pubblico fu entusiastico ma, dopo i primi test, cominciarono le prime perplessità: innanzi tutto, le velocità dichiarate non erano raggiungibili, con le cartucce di serie, nemmeno con i revolver con la canna più lunga, attestandosi al massimo intorno ai 610-620 m/sec. Con la ricarica si poteva certamente azzerare lo svantaggio rispetto alla .22 Harvey Kay-Chuck e, anzi, “rosicchiare” forse qualche metro al secondo in più, ma ciò si dimostrò impossibile nella pratica per un grave difetto, che non tardò a manifestarsi. Il profilo della cartuccia, così rastremato e inusuale, si dimostrò poco gradito all’arma: dopo i primi colpi, quando il tamburo cominciava a scaldarsi, si notò che diventava sempre più difficile estrarre i bossoli vuoti, che letteralmente si incollavano alle pareti di camera. Bastava, poi, che in quest’ ultima restasse anche solo un velo d’olio perché il bossolo, sotto sparo, si incollasse allo scudo posteriore, rendendo problematica tanto la rotazione quanto l’apertura del tamburo. L’azienda tentò di correre ai ripari, ma l’unico rimedio si concretizzò nel munire le armi di un dettagliato libretto di istruzioni che spiegava come pulire perfettamente ogni singola camera con il solvente. Si trattava evidentemente di un ripiego, e non bastò a salvare questa interessante e innovativa arma dall’oblio. Nel 1974, dopo aver prodotto appena 15.000 esemplari del modello 53, la produzione fu sospesa, rendendo di fatto questo sfortunato revolver uno dei più rari e ricercati Smith & Wesson postbellici. Lo Smith & Wesson 53 è un revolver a telaio chiuso, con tamburo ribaltabile lateralmente, cane esterno e scatto ad Azione mista. Il tamburo ruota in senso antiorario. La struttura è praticamente identica a quella del modello 19, che si differenzia dai revolver su telaio K di calibro inferiore essenzialmente per l’alberino dell’estrattore carenato. Dal punto di vista della struttura, l’arma in prova appartiene al primo tipo (il modello 53 propriamente detto), essendo dotata della vite sopra il ponticello per il trattenimento in sede della tacca di blocco del tamburo. La molla principale, quella che dà la spinta al cane, è a lamina. La tensione è regolabile agendo sulla vite posta nella parte anteriore dell’impugnatura. La molla di ritorno del grilletto, invece, è a spirale. Il tamburo è vincolato in posizione di chiusura in due punti: posteriormente, un pistoncino protrude dal centro della stella di estrazione e si va a inserire nello scudo posteriore, anteriormente un piolo posto all’ estremità della carenatura dell’alberino si inserisce in una cavità al vertice di quest’ultimo. Spingendo il pulsante di apertura, questo forza il pistoncino posteriore fuori dalla sua sede e, nello stesso tempo, spinge il suo prolungamento a far uscire il piolo anteriore dalla sua sede. Il cane ha la cresta di tipo semi-target, finemente zigrinata. Rispetto ai normali revolver K camerati per calibri a percussione centrale, però, il percussore non è spinato al corpo del cane, bensì è sostituito da una sorta di massa battente che può ruotare verso l’alto o verso il basso di circa 30 gradi. Nella parte superiore di questa massa battente è posta una piccola zona in rilievo, rigata in senso orizzontale, che serve da appoggio per il pollice per la selezione del percussore vero e proprio. I percussori, infatti, sono due, a grano riportato nel fusto. Posti a pochissima distanza l’uno dall’altro, sono dotati di molle di richiamo indipendenti. Quello più in basso percuote il centro dell’innesco della .22 Jet, quello più in alto percuote La parte superiore della circonferenza del fondello delle .22 lr anulari. Si tratta di una soluzione tecnica molto raffinata, utilizzata dalla Smith & Wesson solo su quest’arma e ripresa, pochi anni più tardi, dalla monocolpo Thompson Center Contender. Il grilletto è sottile e rigato, agevolando in tal modo il tiro in Singola azione. Sul castello è presente un piolo che elimina il collasso di retroscatto. Questo accorgimento è proprio delle armi più curate della serie K, come il K14 Masterpiece calibro .38 special. L’esemplare testato aveva la canna lunga sei pollici, di profilo semi bull-barrel. Gli organi di mira sono quelli tipici delle Smith da tiro: mirino a lama completamente nero, tacca di mira regolabile micrometricamente in elevazione e derivazione con finestra a “U”, parimenti sprovvista di riferimenti colorati. Il supporto della foglietta è rigato orizzontalmente in funzione antiriflesso, mentre la bindella superiore presenta una fine rigatura longitudinale. Le finiture sono, nel complesso, eccellenti: siamo di fronte a un prodotto degli anni d’oro, quando i costi della manodopera non erano ancora tali da costringere a trascurare alcune fasi della lavorazione. La canna è ancora spinata, il tamburo ha ancora il counterboring, le superfici sono riprese senza alcuna incertezza e la brunitura, lucida, è semplicemente spettacolare. Per gli amanti dei revolver, questo è l’oggetto giusto. La prova a fuoco si è svolta alla distanza canonica di 25 metri, in tiro lento mirato. Abbiamo utilizzato per primo il tamburo calibro .22 lr, per prendere confidenza con lo scatto e renderci conto delle potenzialità dell’ arma. In tale configurazione, l’arma non è né più né meno di un normale modello 17 K22: con un minimo di affiatamento, è possibile “tenere” il nove del bersaglio di Pistola standard senza difficoltà. Dopo aver esploso una trentina di colpi, abbiamo deciso di passare al calibro superiore: per la sostituzione del tamburo è sufficiente svitare la vite anteriore della cartella e, quindi, aprire il tamburo e sfilarlo in avanti, con tutto il giogo. Si inserisce il giogo davanti al nuovo tamburo e si rimonta il tutto, avendo cura di non rovinare lo spacco della vite. Dopo aver caricato le sei cartucce, abbiamo preso la mira e premuto dolcemente il grilletto. Lo sparo ci ha decisamente sorpresi: un botto sordo, cupo, violento, accompagnato da una vampa di bocca lunga una ventina di centimetri. In compenso, il rinculo è dolcissimo, mite: sembra di sparare con una .32 Smith & Wesson o con una .38 Wad cutter. Tanto sparando in Singola azione quanto in Doppia, gli scatti sono risultati davvero curati: lisci, netti, morbidi, una favola. La precisione si è mantenuta sempre su ottimi livelli ma, rispetto al .22 lr, la rosata si è un poco allargata. I primi due o tre tamburi sono scivolati via lisci come l’olio ma, immediatamente dopo, sono cominciati i problemi: pur non avendo assistito ad alcun grippaggio del cilindro, abbiamo assistito a un progressivo incremento dello sforzo richiesto per l’estrazione dei bossoli che, nelle ultime serie, ha richiesto l’ intervento del martello con testa in gomma. Il punto di impatto è risultato più elevato, rispetto alle cartucce calibro .22 lr, di una spanna circa. In conseguenza di ciò, invece di mirare alla base del nero si è reso necessario mirare alla base del bersaglio. Dopo questa prova, abbiamo voluto concludere in bellezza utilizzando gli adattatori per sparare il .22 lr nel tamburo del .22 Jet. È opportuno precisare che questi componenti non erano stati forniti con l’ arma, visto che era stato richiesto il tamburo optional, ma erano stati fatti artigianalmente in un secondo momento. Nonostante ciò, il funzionamento è stato regolare, e la precisione paragonabile a quella ottenibile con il tamburo dedicato. In compenso, le operazioni di ricarica si sono rivelate assai più tediose, dovendo spingere via i bossoli uno a uno con una bacchetta. Avendo verificato con mano gli inconvenienti propri di questa sfortunata realizzazione, possiamo tutto sommato comprendere lo scarso successo del modello 53 presso il popolo dei cacciatori. Non può risultare gradita da portare a caccia, infatti, un’arma che necessita di una borsa degli attrezzi per poter essere ricaricata! Nonostante ciò, riteniamo che l’arma costituisca un ottimo esempio del massimo splendore esecutivo dell’azienda di Springfield: la soluzione dei due percussori distinti è quanto mai raffinata, mentre le finiture sono di livello elevatissimo, semplicemente impensabile ai nostri giorni. La precisione è all’altezza del nome, e consente di regalare al fortunato possessore indubbie soddisfazioni in poligono. I pochi esemplari prodotti, in più, ne fanno un oggetto ricercato da veri intenditori. [
] L’articolo completo, con molte più foto e l’elenco delle matricole, lo trovate su Armi e Tiro di aprile 2003. [
] Produttore: Smith & Wesson, 2100 Roosevelt avenue, Ma 01104 Springfield, Massachussets, tel. 00.14.13.78.18.300, fax 00.14.13.74.73.317, www.smith-wesson.com Modello: 53 Tipo: pistola a rotazione Destinazione d’uso: caccia (ove consentito) Meccanica: telaio chiuso, tamburo ribaltabile sul lato sinistro Calibro: .22 Remington Jet Alimentazione: tamburo della capacità di sei colpi Percussione: cane esterno Sicura: automatica, si interpone tra cane e percussore a grilletto non premuto; cane a rimbalzo Scatto: Azione mista Lunghezza canna: 152 mm (sei pollici); disponibile con canna di 4” e 8 3/8” Lunghezza totale: 308 mm Peso: 1.200 grammi circa Numero del Catalogo nazionale: 12.290 (con canna di 8 3/8”) Accessori: tamburo calibro .22 lr, adattatori di camera per sparare il .22 lr nel tamburo calibro .22 Jet