L’investimento ai mercatini di Natale di Magdeburgo è sicuramente un episodio qualificabile come attacco terroristico.
Le modalità di attacco, cioè l’investimento di pedoni con un veicolo, avevano da subito fatto pensare a un attacco di matrice jihadista, proprio perché dall’estremismo islamico era stata recentemente divulgata questa modalità di attentato.
Chi è l’attentatore di Magdeburgo?
Nei giorni successivi all’attacco, però, è emerso un profilo dell’attentatore che potrebbe essere diverso da quello del tipico “lupo solitario” jihadista. Si è parlato di un medico islamofobo, vicino agli ambienti di estrema destra; poi compare un video in cui si dichiara di sinistra; sullo sfondo interessi geostrategici israeliani, russi, iraniani, americani e chi più ne ha più ne metta.
Bisogna subito precisare che sempre più frequentemente risulta quasi impossibile comprendere quale sia la verità. Anzi diventa sempre più difficile ammettere che esista una sola verità perché, quando si seminano il dubbio e la confusione, individuare una verità storica diventa pura utopia, come dividere acqua e vino dopo averli mesi mescolati.
In effetti tutto può essere. Da un islamofobo che attacca il simbolo della società occidentale, come gesto d’accusa nei confronti dell’occidente per l’inerzia nei confronti di ciò che sta consentendo, fino a un vero “lupo solitario” de jihad, dormiente per anni ed in grado di dissimulare il proprio ruolo e la propria missione per due decenni, secondo la tradizione di “copertura” in quell’ambito nota come dottrina della taqiyya.
Che cosa, poi, un atto del genere possa favorire nel complesso scacchiere geopolitico di questa epoca particolare non c’è dato sapere.
Ciò che è chiaro, però, È che la sicurezza personale dei cittadini è costantemente minacciata.
La sicurezza dei cittadini: non cambia nulla
Già, perché il terrorismo è un mezzo e non certo un fine. Dunque uno strumento utilizzato ed utilizzabile da chiunque, per qualsiasi finalità personale immediata o geopolitica di lungo periodo, della quale spesso è addirittura poco consapevole.
Sui nostri marciapiedi, intanto, il risultato non cambia.
Cosa possiamo fare?
Al cittadino non resta che mantenere un elevato livello di attenzione e avere le idee chiare sui comportamenti da tenere nel caso in cui ci si imbattesse in un evento del genere.
La regola è sempre la stessa: prevenzione, per cercare di intercettare prima possibile eventuali segnali premonitori di un attacco e capacità di gestire al meglio possibile gli eventuali primi momenti.
cosa dobbiamo prevenire?
Attacchi portati capillarmente con ogni mezzo: autoveicoli, ma anche coltelli, in un’epoca nella quale su suolo occidentale la minaccia è sempre più pulviscolare e sempre meno strutturata, come nel caso di attacchi con esplosivi ed armi da fuoco, ma non per questo meno letale e terrifica.
È dunque fondamentale mantenere una buona percezione dell’ambiente circostante, non perdere mai la consapevolezza di cosa accade intorno a noi. Nei luoghi chiusi, all’interno dei quali è più verosimile imbattersi in un attacco con coltello o con armi da fuoco, è buona norma avere un’idea di eventuali vie di fuga, ma anche di eventuali ripari e nascondigli. E mantenere sempre attenzione alla prossemica, alla distanza che ci separa dagli altri, al loro atteggiamento, al loro abbigliamento, agli oggetti che trasportano, alle loro mani.
In luoghi aperti la regola è la stessa. Vie di fuga, ripari e nascondigli, movimento di persone ma anche di veicoli, senza tralasciare di guardare in alto, perché ormai esistono droni che possono essere letali nei modi più disparati.
La gestione della crisi
Cosa fare di fronte a un attacco? Due possono essere i ruoli.
Il primo è quello di provare a mettere in salvo sé ed i propri cari. La fuga ed il nascondiglio sono le opzioni da preferire, anche secondo la regola Run, Hide, Fight ormai da anni divulgata da Homeland Security Department Usa.
E se l’attacco ci vedesse vittime designate, imponendoci di provare a guadagnarci spazio e tempo per fuggire?
Una minima idea di come poter provare a contrastare la minaccia nei suoi primi momenti potrebbe, in extrema ratio, essere uno strumento salva-vita. Senza considerare, come ripetiamo da anni, che in tutti i casi in cui gli effetti di un attacco sono stati mitigati è stato grazie all’intervento di qualcuno tra i presenti nei primissimi momenti, vero first responder.
Insomma, il mondo è diventato più pericoloso? Non si direbbe. Solo pochi secoli fa attraversare un bosco a piedi per percorrere i pochi chilometri che dividevano un paese da quello vicino ci esponeva al rischio di aggressione da parte di animali selvatici e di tutta una serie di briganti.
Cosa è cambiato? Dopo una “parentesi di apparente sicurezza diffusa” sono cambiati metodi, strategie e forse finalità.
La necessità di stare all’erta di certo no.