Una delle menti più brillanti delle forze armate tra le due guerre mondiali, una figura tutta da riscoprire quella del generale Federico Baistrocchi. L’esercito ha deciso di dedicargli una mostra a Roma. Quando?
Di Andrea Cionci
Una delle menti più brillanti delle forze armate tra le due guerre mondiali, una figura tutta da riscoprire quella del generale Federico Baistrocchi il cui settantesimo della morte ricorre oggi. Non a caso l’esercito ha deciso di dedicargli una mostra che aprirà al pubblico venerdì 16 giugno presso il museo storico dei Granatieri di Sardegna, a Roma, in piazza Santa Croce in Gerusalemme dove verranno esposti molti cimeli a lui appartenuti: documenti originali, uniformi, onorificenze, fotografie, armi, giornali d’epoca e altro.
La sua onestà intellettuale e la fedeltà di soldato gli costarono la carriera, quando disse a Mussolini scomode verità sulla preparazione dell’Italia nell’ottica di affrontare una guerra mondiale.
“Duce, l’Impero che avete creato lo perderete. La guerra che prevedete sarà lunga […] troverà l’universo diviso in due campi opposti per una lotta senza quartiere e perciò sarà lunghissima e all’ultimo sangue. Trionferà chi avrà saputo meglio prepararsi, resistere, alimentarsi. Il Mediterraneo non è nostro; l’Inghilterra lo domina […] la Francia e anche l’America (poiché ritengo che anch’essa sarà contro di noi) vorranno farci scontare il nostro grande successo in Africa”.
Di quale posizione godeva, dunque, Baistrocchi per potersi permettere di scrivere cosi al Duce? E di quale esperienza militare, per poter intuire in questo modo cosa sarebbe avvenuto?
“Il Diavolo rosso”: così lo avevano soprannominato gli austriaci nella grande guerra. Come artigliere era divenuto il loro flagello: aveva infatti ideato una particolare forma di impiego dell’artiglieria in appoggio alla fanteria che gli era valso questo appellativo da parte degli austriaci e, da parte dei soldati italiani, quello di “artigliere del fante”. Per il suo valore e perizia ottenne varie promozioni per merito di guerra e ben sei medaglie al valore, ma per lui stesso, la più ambita fu quella d’oro che gli arditi del 1° battaglione d’assalto gli offrirono per averli accompagnati con il preciso fuoco dei suoi cannoni alla conquista di Q. 800 della Bainsizza.
Al termine della grande guerra, promosso generale ed eletto deputato, tra il 1924 e il 1933 non si occupò di politica ma esclusivamente di questioni militari.
Per questa sua riconosciuta preparazione tecnica ed esperienza sul campo, Mussolini, nel 1933 lo chiamò ad assumere l’incarico di sottosegretario di Stato per la guerra e, dal 1° ottobre 1934, anche la carica di capo di Stato maggiore dell’esercito.
Baistrocchi portò un vasto piano di riorganizzazione e modernizzazione delle truppe italiane, da attuarsi in due trienni: 1933-36 e 1936-39. Riuscì da subito, a svecchiare, innovare, motorizzare la forza armata abbandonando definitivamente i vecchi concetti del primo dopoguerra. Il suo primo impegno fu l’introduzione di criteri più meritocratici per l’avanzamento degli ufficiali.
Si occupò quindi di un piano di riforme che prevedeva l’ammodernamento delle armi in dotazione alla fanteria e all’artiglieria e al loro munizionamento.
Diede il massimo impulso alla meccanizzazione e motorizzazione dell’esercito con la costituzione organica del corpo automobilistico e trasformando e motorizzando reparti di cavalleria, bersaglieri, batterie di artiglieria e creando le prime unità corazzate e autotrasportate.
Si preoccupò di migliorare il trattamento e l’addestramento delle truppe, il suo equipaggiamento e vestiario, con maggiore praticità e comodità rispetto a quanto adottato dai precedenti regolamenti.
Con l’istituzione del nuovo corpo denominato “Guardia alla Frontiera” (Gaf) l’esercito venne svincolato dal compito di assicurare la copertura dei confini per impegnarsi quindi a garantire la difesa del restante territorio nazionale.
L’Italia aveva finalmente un esercito moderno, e i risultati si videro nella campagna di Etiopia. Dopotutto, Baistrocchi non era mai stato favorevole a quell’impresa africana, e non aveva nascosto al Re e a Mussolini le perplessità sull’affrontare una guerra a 8.000 km di distanza, ma quando ricevette l’ordine di approntare i mezzi per la campagna, diede il meglio di sé nella preparazione. Rispetto alle quattro divisioni previste, Baistrocchi, che era un grande logista, riuscì a inviarne 20, perfettamente equipaggiate e rifornite. Si mise così in luce per le sue capacità tanto che vi fu un momento in cui Mussolini pensò di sostituire Badoglio (la cui lentezza nel procedere lo esasperava) con lui, ma fu proprio Baistrocchi a sottolineare che un simile avvicendamento avrebbe causato problemi nella gestione del Corpo di spedizione da Roma che era sotto la sua responsabilità.
Fu proprio con l’accennata intenzione di Mussolini di sostituire Badoglio con Baistrocchi che si verificò il malinteso che mise in allarme il primo dei due generali.
L’occasione per disarcionare quello che pensava fosse un rivale, Badoglio la ebbe, tuttavia, quando Baistrocchi scrisse a Mussolini la lucida e profetica lettera del 18 settembre ’36. Fu grazie a questa che Badoglio poté convincere il Duce a destituirlo. Il generale napoletano fu nominato conte e senatore del regno per i grandi meriti acquisti, ma, de facto, fu escluso da ogni ruolo di responsabilità.
Con il crollo del regime e l’insediarsi di Badoglio come capo del governo, il 18 aprile 1945 con richiesta del commissariato per le sanzioni contro il fascismo Baistrocchi, allora settantatreenne, fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli come un delinquente comune. Qui rimase per un anno e tre mesi in attesa del processo. Al generale instancabile e intrepido, il peso della calunnia fu molto gravoso, tanto che dimagrì di 21 chili. Era accusato di aver “fascistizzato” l’esercito, influenzandone l’ordinamento, la tecnica militare, la regolamentazione e la disciplina.
L’abbondante documentazione della sua attività e le testimonianze a suo favore di un alto numero di personalità militari e politiche di tutti i partiti, riabilitarono totalmente la sua figura di soldato, di comandante e di italiano. Il processo durò 12 giorni e si concluse il 22 settembre. Su richiesta dello stesso Pubblico ministero, l’anziano generale fu quindi assolto con formula piena, tra gli applausi del pubblico e grandi manifestazioni di approvazione. La sentenza consacrò la figura di questo ufficiale con pieno, incondizionato riconoscimento. Uscì dal carcere alle ore 15 del 22 settembre 1946.
Già debilitato dalla vicenda infamante del carcere, pochi mesi dopo, morì per un attacco di cuore, il 31 maggio 1947. Riposa alla Certosa di Bologna.