A pochi giorni dalla strage di Uvalde, sono in molti a vedere l’arrivo del primo ministro Jacinda Ardern negli Stati Uniti, per l’incontro programmato per oggi con il presidente statunitense Joe Biden, come l’arrivo di un vero e proprio “angelo custode” nei confronti delle restrizioni sulla normativa in materia di armi. Come è noto infatti, dopo la strage verificatasi nel 2019 a Christchurch, la Nuova Zelanda ha approvato e fatto entrare in vigore una riforma legislativa che ha portato alla messa al bando di moltissimi modelli di armi semiautomatiche (specialmente quelli di “aspetto militare”), con confisca dietro indennizzo. Gli osservatori e molti giornalisti evidenziano come l’operazione sia stata “un successo”, sottolineando come la Ardern consideri, compiaciuta, l’operazione come “il semplice frutto della volontà”.
Si impongono, a tal proposito, un paio di considerazioni: la prima, più ovvia, è legata alla differenza abissale che intercorre tra la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti, sia in termini di rapporto tra superficie e popolazione, sia in termini culturali, in generale e nello specifico in relazione al rapporto con le armi, ma anche in rapporto alla considerazione nella quale viene tenuta la proprietà privata. Proporre quindi un parallelismo, per di più “facile”, tra le due realtà è quantomeno superficiale se non addirittura folle.
Non andrebbe poi dimenticato, parlando appunto del buyback neozelandese come “un successo”, come la realtà sia in effetti ben diversa: la consegna delle armi vietate si stima che abbia rappresentato un modesto 30 per cento sul totale circolante nel Paese, tanto è vero che, dopo la scadenza del primo provvedimento di confisca dietro indennizzo, alla chetichella il governo neozelandese ha indetto un secondo buyback tra il febbraio e l’agosto 2021, che si è concluso con numeri veramente ridicoli (circa mille armi consegnate).