Il Tar del Veneto ribadisce: quando una prefettura nega il rinnovo del porto di pistola dopo anni di pacifica concessione, devono esservi precise ragioni che abbiano mutato le circostanze di fatto e non generiche considerazioni
Con sentenza n. 811 del 2019, pubblicata l’8 luglio, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto (sezione prima) ha annullato il provvedimento con il quale la prefettura di Rovigo ha negato il rinnovo del porto di pistola per difesa personale a un piccolo imprenditore locale, dopo che per anni gli era stato pacificamente rinnovato. L’imprenditore aveva sempre giustificato la sua esigenza di girare armato con la motivazione secondo la quale, dopo la chiusura dell’attività, si trovava spesso a dover far transitare somme anche importanti tra il negozio e la sua abitazione. Tra i motivi addotti per giustificare il mancato rinnovo (che, come è noto, ha cadenza annuale), l’autorità locale di Ps (carabinieri) ha addotto il fatto che il richiedente aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi per l’anno precedente e che, quindi, non erano disponibili gli elementi oggettivi che giustificassero il dimostrato bisogno dell’arma. La prefettura inoltre ha considerato che nel comune di residenza del richiedente, vicino alla sua attività commerciale, “esistono due istituti di credito provvisti di cassa continua con relativo sistema di videosorveglianza” e che “agli atti dell’Arma (dei carabinieri, ndr) non consta aver subito minacce, aggressioni o atti intimidatori”.
Nell’accogliere il ricorso al Tar da parte dell’imprenditore, annullando il provvedimento della prefettura, sono state fornite motivazioni interessanti, che smontano le ragioni addotte dalla prefettura medesima (e sempre più utilizzate dalle prefetture per non rinnovare il maggior numero di porti d’arma possibile). In particolare, la corte ha osservato che per giustificare il mancato rinnovo del porto d’armi a un soggetto al quale è sempre stato rilasciato e rinnovato da lungo tempo, bisogna che si verifichino ben precisi mutamenti nella situazione di fatto. Per esempio, relativamente al fatto che il soggetto possa usufruire della cassa continua anziché portare a casa propria gli incassi, da un lato il tribunale fa propria la considerazione del ricorrente secondo la quale “l’autorità di pubblica sicurezza, pur nell’ampia discrezionalità amministrativa di cui gode in questa materia, non può interferire nelle insindacabili scelte imprenditoriali e imporre all’operatore commerciale di depositare in banca il denaro contante ricavato dal proprio esercizio commerciale, anziché presso la propria abitazione. Inoltre dal 2007 il ricorrente risiede nel centro del paese e trasporta quotidianamente l’incasso sino alla propria abitazione, trattandosi peraltro di circostanza nota da tempo all’amministrazione, cosicché non è dato comprendere per quale ragione l’Ufficio territoriale del governo abbia deciso di respingere l’istanza di rinnovo di porto di pistola per difesa personale, sebbene non siano nel frattempo mutate le condizioni personali e ambientali che avevano giustificato e legittimato i precedenti rinnovi per trent’anni”.
Relativamente all’omessa dichiarazione dei redditi, la corte ha osservato che l’attività del ricorrente ha forma di Società in nome collettivo e che “l’amministrazione non poteva arrestarsi alla constatazione dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte della società per dedurne, automaticamente, l’assenza di ricchezza/floridezza economica della stessa realtà imprenditoriale e ciò al fine di desumere l’assenza del bisogno di andare armato”.
In conclusione la corte ha ritenuto che “trattandosi di diniego di rinnovo del porto d’armi l’amministrazione non poteva esimersi dall’indicare nella motivazione il mutamento delle circostanze, di fatto e soggettive, che l’avevano già indotta a rilasciare, negli anni antecedenti, il suddetto titolo, dovendosi dar conto dei fatti ostativi sopravvenuti e del mutato interesse pubblico al rilascio della licenza, a salvaguardia del legittimo affidamento del cittadino”.
In definitiva la corte precisa che “nell’ipotesi di rinnovo della licenza di porto d’armi per difesa personale, l’amministrazione, qualora opti per una diversa determinazione rispetto alle precedenti (in ogni caso, a seguito di congrua istruttoria), deve dare adeguatamente conto, nella motivazione dell’atto di diniego, dell’eventuale mutamento delle condizioni e dei presupposti (di fatto e soggettivi) che avevano dato luogo all’originario rilascio della licenza medesima e al successivo rinnovo. Ovvero, posto che le esigenze di difesa personale del privato sono state riconosciute esistenti, qualora nulla cambi nelle circostanze di fatto poste a loro fondamento e non sopravvengano motivi ostativi all’uso dell’arma, l’amministrazione è tenuta a motivare in modo puntuale le ragioni del diniego, evidenziando perché gli elementi in precedenza ritenuti sufficienti a giustificare il titolo non lo sono più, oppure quale diversa ponderazione sia stata effettuata tra l’interesse privato alla difesa e l’interesse pubblico al contenimento del numero delle armi in circolazione sul territorio”.
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