Vienna piange 4 morti e 22 feriti grazie a un radicalizzato islamico che si è fatto beffe delle normative sulle armi che colpiscono solo gli onesti ma, soprattutto, delle “sicurezze” delle autorità austriache in merito al fenomeno dell’integralismo. Molti sono gli spunti di riflessione
Per il momento non sono molte le certezze sull’attentato che ha insanguinato la capitale austriaca: a oggi, secondo le autorità viennesi l’unico autore certo dell’attentato è il ventenne con nazionalità macedone e austriaca che è stato ucciso dalle forze dell’ordine nell’imminenza dell’attacco, costato purtroppo la vita a 4 persone e con altre 22 persone ferite, 6 delle quali in gravi condizioni. Nel frattempo, il gesto è stato rivendicato dall’Isis e, in puro stile kamikaze islamico, l’attentatore aveva pubblicato una foto sul proprio profilo Instagram nell’imminenza dell’insano gesto, brandendo le armi che avrebbe poi drammaticamente scaricato sulla cittadinanza inerme.
Dalle foto attualmente disponibili sul web, appare di evidenza che le armi dell’attentatore appartengano alla tipologia più facilmente reperibile sul mercato nero in tutta l’Europa occidentale. Che non sono, come evidentemente erano convinti gli euro-burocrati quando hanno messo in opera la famigerata direttiva 2017/853, quelle che si comprano comunemente nelle armerie, bensì più verosimilmente quelle provenienti dagli arsenali balcanici. In questo caso l’attentatore sembra brandire, in particolare, un M70, versione ex jugoslava dell’Ak47, e una pistola Tokarev o derivata (esiste anche in questo caso una versione ex jugoslava, che è la M57 Zastava). Sta di fatto che l’uomo (che non vogliamo neanche nominare per nome) non avrebbe potuto acquistare legalmente tali armi nel territorio austriaco, atteso il fatto che era stato incarcerato proprio per reati collegati al terrorismo di matrice islamica nel 2019.
Può sembrare assurdo, ma l’attentatore, che ha rivendicato prima dell’attacco la propria affiliazione all’Isis, era stato messo in carcere per aver cercato di entrare a far parte dello Stato islamico. Era stato, tuttavia, successivamente rilasciato perché aveva meno di 19 anni al momento dell’arresto e, soprattutto, perché secondo la magistratura locale era stato ritenuto incapace di compiere atti terroristici. Pare che uno degli elementi sui quali si è basata l’analisi da parte delle autorità sia stato il fatto che l’attentatore si fosse iscritto, guardate un po’ che bravo, a un corso di “deradicalizzazione”.
Al di là delle ricerche successive della polizia austriaca, che hanno portato all’arresto di ulteriori 14 persone non direttamente coinvolte nell’attacco ma sospetti di fiancheggiamento, si pone con drammatica evidenza un diverso problema, che è quello poi con il quale ci troviamo a confrontarci dopo ciascuno di questi atti criminali, ed è quello dei “soft target”. Secondo le informazioni disponibili, dal momento in cui è iniziato l’attacco al momento in cui l’attentatore è stato neutralizzato dalla polizia sopraggiunta, sono passati solo 9 minuti. 540 secondi, a malapena il tempo occorrente a cuocere un piatto di spaghetti, nel corso dei quali 26 persone sono state colpite, quattro di esse uccise e per chissà quanti dei feriti la vita sarà cambiata per sempre.
È l’annoso problema dei “soft target”, in altre parole dei cittadini che sono disarmati e comunque lontani dalla tutela immediata e diretta della polizia (e non potrebbe essere diversamente, a meno di non far diventare poliziotti la metà dei cittadini, con l’incarico di sorvegliare a vista l’altra metà…).
Un problema al quale finora le autorità europee e nazionali hanno saputo rispondere solo ed esclusivamente introducendo limitazioni, balzelli e vincoli ai legali possessori di armi ma che, forse, dopo questo ennesimo atto insensato sarà il caso di riconoscere che non ha la benché minima efficacia nei confronti della criminalità, quella vera.