Il 1° maggio 2020, a sorpresa, il primo ministro canadese Justin Trudeau (recentemente rieletto per il suo terzo mandato) ha emanato un provvedimento con il quale ha inteso vietare la detenzione di circa 1.500 modelli di armi da fuoco, qualificati come “d’assalto”. La disposizione assegnava un periodo finestra fino al 30 aprile 2022, entro il quale il governo avrebbe dovuto adottare le necessarie procedure tecniche per il riacquisto delle armi detenute dai cittadini, con relativo indennizzo, oppure per consentire a chi lo desiderasse di continuare a detenerle, con la cosiddetta procedura del “grandfathering”.
A oggi, quindi a meno di sei mesi dalla scadenza del termine previsto per la scelta (un battito di ciglia, considerando le migliaia o forse centinaia di migliaia di cittadini e di armi coinvolte), il governo tuttavia si è ben guardato dal pubblicare indicazioni in proposito. L’unico segnale dato ai legali detentori di armi è stato, nel quadro di un generale rimpasto di governo, la sostituzione del ministro per la pubblica sicurezza Bill Blair (ritenuto principale artefice del provvedimento di messa al bando delle armi) con Marco Mendicino. Va anche detto, paradossalmente, che Blair era caduto in disgrazia presso le associazioni disarmiste, perché accusato di non essere riuscito ad applicare in concreto quanto era nelle intenzioni.
Non è neanche chiaro, a tutt’oggi, quanto la procedura di buyback per le armi dichiarate “d’assalto” dovrà costare ai contribuenti canadesi: un rapporto del governo dello scorso giugno ha evidenziato una stima decisamente spannometrica compresa tra 47 e 756 milioni di dollari canadesi, affrettandosi a precisare che si trattava di una stima “base”. A tal proposito, un altro Paese che ha di recente adottato una politica simile, cioè la Nuova Zelanda, ha visto il costo complessivo dell’operazione pressoché raddoppiare rispetto alle stime iniziali, passando da 18 a oltre 35 dollari neozelandesi. Stime più realistiche sono state stilate dal Fraser Institute che, già a gennaio 2020 (quindi ancor prima dell’emanazione del decreto Trudeau) aveva ipotizzato che un simile provvedimento avrebbe coinvolto almeno 250 mila armi, con un costo compreso tra 1,6 e quasi 5 miliardi di dollari, solo nel primo anno, per le spese vive sostenute dalla pubblica amministrazione, senza includere gli indennizzi al valore di mercato per i cittadini espropriati. La Canadian taxpayers federation si è, peraltro, costantemente opposta all’operazione di buyback, evidenziandone la natura di semplice spreco di denaro pubblico, senza alcuna contropartita in termini di sicurezza sociale. La stessa associazione ha evidenziato come, considerando le dimensioni della popolazione del Canada rispetto a quella della Nuova Zelanda, sarà comunque impossibile completare la procedura di buyback entro la scadenza prevista del 30 aprile.