Dopo cinque anni, il dipartimento di giustizia Usa dà ragione al capo di Defense distributed: le informazioni sulle armi stampabili in 3D potranno essere rese pubbliche. Però…
Destò uno scalpore planetario la decisione, ormai risalente al 2013, del collettivo Defense distributed fondato da Cody Wilson (in foto) di caricare sul Web i piani della prima pistola realizzabile con stampanti 3D. Che, altrettanto rapidamente, furono oscurati dal dipartimento di giustizia statunitense, dando il via a un contenzioso tra libertà di espressione e tutela della pubblica sicurezza che si è protratto per cinque anni. Fino a pochi giorni fa, con il raggiungimento di un accordo tra il dipartimento di giustizia, l’associazione di tutela degli appassionati d’armi americani Second amendment foundation e Defense distributed, nel quale si riconosce il diritto dei cittadini statunitensi ad avere accesso, discutere, utilizzare, riprodurre o prendere altrimenti beneficio dai dati tecnici che erano precedentemente stati “bannati” a Defense distributed.
All’origine del contenzioso, l’accusa da parte dei federali che la distribuzione dei progetti violasse le regole di esportazione dell’International traffic in arms regulations (Itar). Dall’altra parte, l’osservazione da parte di Defense distributed che il materiale pubblicato in rete fosse costituito da codici macchina, non certo da armi e, di conseguenza, che ricadesse sotto la libertà di espressione.
Oltre al riconoscimento del diritto di diffusione delle informazioni concernenti la produzione di armi mediante stampanti 3D, la Second amendment foundation ha espresso la propria soddisfazione per un’altra dichiarazione fondamentale da parte del governo, contenuta nel medesimo accordo, cioè che le armi semiautomatiche fino al calibro .50, inclusi i cosiddetti black rifle, non sono assimilabili alle armi militari. “Non è solo una vittoria del primo emendamento sulla libertà di parola”, ha commentato il fondatore e vicepresidente della Second amendment foundation, Alan Gottlieb, “ma è anche un colpo devastante alla lobby degli anti-armi. Per anni, gli anti-armi hanno spacciato che le carabine semiautomatiche per impiego sportivo fossero in realtà “armi da guerra”, ma con questa dichiarazione il governo riconosce definitivamente che non lo sono”.
Ovviamente, c’è già chi ritiene che il via libera governativo alla diffusione di informazioni che consentano di produrre armi con stampanti 3D provochi una ulteriore escalation agli omicidi commessi con armi da fuoco negli Stati Uniti. In realtà, purtroppo o per fortuna, la disponibilità di armi illegali di tipo convenzionale è così ampia da non richiedere alternative “homemade”, le quali tra l’altro presentano elevati rischi per l’incolumità del tiratore, come peraltro abbiamo dimostrato in un ormai storico articolo pubblicato sul fascicolo di febbraio 2016 di Armi e Tiro. Tra l’altro, occorre ricordare che nel momento in cui le stampanti 3D sono una realtà, la possibilità (finora più teorica che pratica) di realizzare armi funzionanti e capaci di durare più di un colpo non è certamente legata alla disponibilità di piani di costruzione on-line, visto che tali piani possono essere ottenuti in modo più tradizionale via e-mail o tramite supporto fisso (chiavi Usb, dischi Cd-rom e così via). Di certo c’è che la questione infiammerà il dibattito per i mesi, forse anni, a venire.