I sillogismi e le certezze incrollabili degli anti-armi, secondo i quali se non ci sono in giro armi da fuoco è impossibile che si verifichino omicidi con armi da fuoco, scricchiolano in casi come questo, ed evidenziano tutto il loro carico di utopistica ipocrisia. Parliamo del ferimento, al quale purtroppo è seguita la morte durante il trasporto in ospedale, dell’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe, colpito con due colpi sparati con una rudimentale arma autocostruita da parte di Yamagami Tetsuya, ex militare della forza navale di autodifesa giapponese, il quale, catturato, avrebbe riferito di essere “insoddisfatto” e quindi di aver voluto uccidere intenzionalmente Abe.
Il Giappone è, peraltro, il Paese nel quale vige la normativa in materia di armi più rigida in assoluto, tra le moderne democrazie: completamente bandite le armi corte e le carabine a canna rigata, è possibile acquistare solo fucili a canna liscia per la caccia o il tiro a volo e armi ad aria compressa, con rigidissimi criteri per l’autorizzazione all’acquisto, l’uso, la detenzione e il consumo delle munizioni, che di fatto comporta una impossibilità pratica di impiego. Limiti che, evidentemente, non sono riusciti a fermare un soggetto probabilmente folle, sicuramente altrettanto determinato. Non si può fare a meno di ricordare l’analogia con quanto avvenuto nel 2016 in Gran Bretagna (altro Paese, questa volta europeo, con una normativa molto rigida in materia di armi e il divieto assoluto di detenzione di armi corte), dove un altro invasato ha ucciso, sempre con una pistola autocostruita, la deputata Jo Cox.