La corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul concetto di arma da guerra e di parte di arma da guerra. Due gli imputati, entrambi accusati e condannati in primo e secondo grado per violazione dell’articolo 2 della legge 895 del 1967 (detenzione di parti di arma da guerra e munizioni da guerra): il primo per detenzione abusiva di tre caricatori per “fucile M40” (in realtà verosimilmente una pistola mitragliatrice Mp40 della seconda guerra mondiale) e “di una canna, completa di castello, per fucile Steyer Mannlicher M95” (sic), il secondo per detenzione di “tre caricatori per fucile Beretta Bm59, di un caricatore per fucile Beretta Ar70/90 e di 111 proiettili calibro 9×19”.
In relazione, in particolare, alla detenzione dei caricatori per “M40”, la corte ha respinto il ricorso, osservando che “occorre ribadire che – ai fini della possibilità di attribuire ad un oggetto la qualifica di “parte” di arma da guerra, da cui consegue la configurabilità del delitto di cui all’art. 2 legge n. 895 del 1967 – è sufficiente l’autonomia funzionale di esso, che ne renda possibile l’individuazione come elemento strutturale tipico dell’arma, e la facile ricomposizione dell’intero senza la necessità di speciali procedimenti; sono queste caratteristiche che il caricatore per arma da guerra certamente possiede (da ultimo, Sez. 1, n. 51880 del 29/10/2019, Martilotta, Rv. 278067-01). Ai sensi dell’art. 1 legge 18 aprile 1975, n. 110, sono poi armi da guerra le armi di ogni specie che, per la loro spiccata potenzialità di offesa, sono o possono essere destinate al moderno armamento delle truppe nazionali o estere. Ciò posto, il fucile M40 è stato correttamente qualificato dalla sentenza impugnata come arma da guerra, in considerazione della sua spiccata potenzialità offensiva, evidenziata dal perito, che aveva concluso nei medesimi termini, e derivante dal suo funzionamento a raffica; funzionamento tale, come in sentenza ritenuto per implicito, ma non per questo per meno certo, da renderlo passibile di destinazione al moderno impiego bellico. È sufficiente, del resto, l’idoneità d’impiego, mentre non è decisivo il fatto se l’arma sia o meno attualmente in dotazione di corpi o reparti di Forze armate, nazionali o straniere (come affermato già da risalente giurisprudenza: Sez. 2, n. 1770 del 07/11/1973, dep. 1974, Turrinetti, Rv. 126288-01)”.
Relativamente al fucile “Steyer Mannlicher”, la corte ha invece accolto il ricorso, sottolineando che “il perito ne aveva saggiato le caratteristiche e si era pronunciato, in base ad esse, per la sua natura di arma comune da sparo. La Corte di appello ha disatteso tale valutazione, sul mero rilievo che il fucile fosse stato impiegato dall’esercito austro-ungarico durante la Prima guerra mondiale; rilievo in tutta evidenza inconcludente, se non addirittura controproducente, al fine di dimostrare che l’arma sia destinata, o anche solo destinabile, «al moderno armamento» delle Forze armate. Il dissenso giudiziale rispetto alle conclusioni peritali non appare dunque congruamente motivato e la valutazione sul punto andrà rinnovata, alla luce del principio secondo cui la spiccata potenzialità offensiva di un’arma, quale elemento idoneo a determinarne la destinazione, attuale o anche solamente possibile, all’armamento di truppe, e quindi la sua classificazione tra quelle da guerra, va accertata non in astratto, ma in concreto, attraverso l’attenta disamina delle specifiche tecniche (tra le molte, Sez. 1, n. 6945 del 18/01/1990, Conte, Rv. 184314-01), rispetto alle quali assume particolare rilievo la consulenza degli esperti del settore”.
Relativamente ai reperti sequestrati al secondo imputato (caricatori Bm59, Ar70/90 e cartucce 9×19), la Cassazione ha invece accolto integralmente il ricorso, riconoscendo che “Quanto ai proiettili, va rammentato che la più recente, e tuttavia consolidata, giurisprudenza di legittimità ritiene qualificabile come arma comune da sparo la pistola semiautomatica Beretta calibro 9×19 parabellum, con il corrispondente munizionamento (Sez. 5, n. 18509 del 17/02/2017, Carluccio, Rv. 269994-01; Sez. 1, n. 6875 del 05/12/2014, dep. 2015, Colitti, Rv. 262609-01; Sez. 1, n. 52526 del 17/09/2014, Raso, Rv. 262186-01).
Quanto ai caricatori, è dirimente il rilievo per cui le armi di riferimento, in base alla documentazione al ricorso allegata, sono state ora classificate come armi comuni da sparo dal Banco nazionale di prova di cui all’art. 11, secondo comma, legge n. 110 del 1975. È questo l’Ente di diritto pubblico cui il comma 12-sexiesdecies dell’art. 23 d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha attribuito, a seguito della soppressione del Catalogo nazionale delle armi, il compito di verificare, per ogni arma prodotta, importata o commercializzata in Italia, la qualità di arma comune da sparo, nonché la sua corrispondenza alle categorie di cui alla direttiva europea CEE/477/91, e succ. mod., inserendo la relativa valutazione in database pubblico, liberamente consultabile.
Detta valutazione, da cui dipende la possibilità di legale detenzione dell’arma nel nostro Paese, ha valore vincolante “in negativo” per il giudice, che non può disattenderne il contenuto implicito di esclusione dal novero delle armi da guerra. Già con riferimento all’abolito Catalogo nazionale delle armi, infatti, questa Corte aveva, da un lato, sottolineato la funzione meramente ricognitiva delle iscrizioni ivi contenute, che non condizionavano la possibilità di attribuire ad uno strumento di offesa la qualità di arma da sparo, collegata direttamente a requisiti legali (Sez. 1, n. 12737 del 20/03/2012, Tomasello, Rv. 252561-01; Sez. 1, n. 23861 del 26/05/2010, Giannilivigni, Rv. 247944-01); e, d’altra parte, aveva sottolineato come la finalità della classificazione, ora dislocata presso il Banco nazionale di prova, fosse viceversa proprio quella di delimitare la distinzione tra armi comuni da sparo e armi da guerra, soggette a distinto regime sanzionatorio (Sez. 2, n. 28911 del 09/07/2008, Petito, Rv. 240636-01; Sez. 1, n. 3672 del 20/03/1996, Ferrandes, Rv. 204335-01)”.