In risposta ai dati recentemente diffusi dall’Ispra, relativi alla consistenza della specie cinghiale nel periodo compreso tra il 2015 e il 2021, la Federcaccia ha rilasciato una nota, nella quale svolge alcune considerazioni sull’argomento: “Innanzitutto”, si legge nel comunicato, “si esprimono perplessità sulla valutazione dei dati di consistenza delle popolazioni e di stima dei danni. Nel comunicato stampa, infatti, non viene adeguatamente illustrata la tipologia di dati utilizzati (in parte derivati dai “Piani regionali di interventi urgenti per la gestione, il controllo e l’eradicazione della peste suina africana”), mentre è chiaro che per una specie notoriamente così difficile da monitorare sia piuttosto azzardato indicare qualsiasi valore di consistenza senza sottolineare l’aleatorietà delle fonti utilizzate e, quindi, la limitata affidabilità della stima stessa. Analoga problematica riguarda la valutazione dei danni alle colture agricole, in quanto non si evince dal comunicato stampa se trattasi solo di danni dichiarati dagli agricoltori o se vengono contemplati anche quelli non denunciati (che in certe situazioni possono essere anche molto elevati). Dalle analisi condotte dall’Ispra si evince inoltre come la braccata rappresenti ancora oggi l’unica forma di prelievo in grado di impattare in modo determinante dal punto di vista numerico sulle popolazioni di cinghiale. Di conseguenza appaiono illogiche le valutazioni critiche fatte in diverse altre occasioni dall’Ispra stesso sul tema. È altresì evidente che il prelievo in braccata, circoscritto per la stragrande maggioranza dei casi al territorio a caccia programmata gestito dagli Atc, necessita nel futuro di essere accompagnato da un aumento di altre forme di prelievo come la caccia di selezione, la girata e da azioni di controllo più incisive (es. chiusini). Tutto ciò allo scopo di incidere maggiormente sulle popolazioni e regolare opportunamente gli abbattimenti (tendenzialmente) per classi di sesso ed età, avendo riguardo l’evidente necessità di ridurre significativamente le densità sul territorio. Questa impegnativa attività di contenimento del cinghiale dovrà prevedere sempre più il diretto coinvolgimento dei diversi portatori di interesse, come le Aziende Faunistico e Agri-turistico venatorie (dove si sarebbe realizzato, nel periodo preso in esame, soltanto il 6% del prelievo) e i soggetti gestori di aree protette nazionali e regionali istituite ai sensi della Legge 394/91, sul cui territorio ancora non si interviene in modo incisivo, tenuto conto del fondamentale ruolo ricoperto nella diffusione del cinghiale. Non è un caso se l’Abruzzo è una delle due regioni più colpite dai danni, con circa 18 milioni di euro stimati nel periodo, essendo nello stesso tempo la regione italiana con la più alta superficie di territorio dove insistono le aree protette nazionali e regionali. Proprio queste ultime, dove nel periodo esaminato, gli abbattimenti del suide hanno rappresentato soltanto il 38% delle attività di controllo faunistico condotte sul territorio agro-silvo-pastorale, dovranno quindi giocare un ruolo fondamentale nel contenimento della specie. Serve una sinergia di gestione coordinata tra tutte le aree protette e i territori di caccia per gestire una specie potenzialmente molto impattante sull’ambiente, le produzioni agricole e la sicurezza stradale. Una strategia definita sulla base delle più aggiornate conoscenze scientifiche, che valorizzi al meglio le risorse umane disponibili e le capacità d’intervento attivo sul territorio”.