Il Tar di Palermo è dovuto arrivare a nominare un commissario ad acta alla prefettura di Agrigento, per obbligarla a concedere un porto d’armi che era stato rifiutato con motivazioni illegittime
La prefettura di Agrigento “costretta” mediante commissariamento a concedere il porto d’armi. Un precedente sicuramente importante nella tutela degli interessi legittimi dei cittadini, in particolare sull’annosa vicenda dei motivi ostativi al rilascio del porto d’armi e della relativa discrezionalità delle valutazioni al riguardo. Ma anche una pagina molto brutta in termini di rapporti tra lo Stato e il cittadino, visto che per arrivare al riconoscimento delle proprie ragioni, il cittadino ha dovuto attendere dodici anni e ci sono voluti ben due provvedimenti successivi del Tar: il primo, con il quale il tribunale amministrativo ha riconosciuto le ragioni del ricorrente; il secondo, un anno dopo, con il quale lo stesso Tar ha dovuto letteralmente “obbligare” la prefettura ad adempiere, nominando un commissario ad acta.
La vicenda inizia appunto 12 anni fa, allorché a un cittadino agrigentino non viene rinnovato il porto di fucile per uso caccia da parte della competente questura, con la motivazione che il figlio è stato trovato a scuola in possesso di uno spinello. Il cittadino presenta ricorso gerarchico alla prefettura, che conferma la decisione della questura e, per buona misura, dispone anche il divieto di detenzione delle armi. Il cittadino ricorre al Tar che, nell’aprile 2019, sancisce l’illegittimità della decisione della prefettura. La sentenza non viene appellata dall’avvocatura dello Stato (quindi diventa definitiva), ma nonostante questo la prefettura non rinnova il porto d’armi né consente al cittadino di tornare in possesso delle armi. Nuova richiesta al Tar, che questa volta con un nuovo provvedimento dispone l’esecuzione del precedente giudicato e nomina un commissario ad acta, incaricato dell’esecuzione.