Dall’inizio di quest’anno il governo inglese ha anch’esso ceduto all’emotività di una scelta che ormai erroneamente è vista come la salvezza della fauna, specialmente africana. Ha infatti varato una severissima proposta di legge per proibire l’importazione dei trofei di caccia, per proteggere le specie animali in pericolo. Il department for Environment, food and rural affairs ha voluto così includere ben 6.000 specie in questo provvedimento che, secondo le intenzioni, salverebbe i suddetti animali dall’estinzione. Strano che una società come quella inglese, che ha sempre tenuto nelle sue mani più che stretta la consuetudine della caccia tradizionale, sia diventata così estremista e talebana nell’intraprendere una strada che da anni è stata giudicata dagli esperti come la più rapida nel portare alla vera estinzione le specie animali.
Infatti le quote ristrette degli abbattimenti negli stati africani, in quanto la norma tende a prendere in considerazione quasi esclusivamente quest’ultimi, sono mantenute proprio perché rappresentano un introito sia per le agenzie e compagnie di caccia sia, soprattutto, per moltissime popolazioni che ricavano dall’attività venatoria lavoro, guadagni e specialmente, l’unica carne disponibile. Per cui sono ritenute da salvaguardare proprio per questo significato. I divieti di importazione invocati dalle associazioni isterico-animaliste, ottengono il risultato nettamente contrario: senza alcun interesse economico sotteso, gli animali finiscono di avere un valore per chi ci vive accanto: quindi frequentemente diventano di disturbo per la pastorizia, per i raccolti e per il pericolo delle razzie dei grossi felini. Per cui toglierli di mezzo illegalmente è il sistema ricorrente. Per ottenere, oltretutto, quel bush-meat che diventa l’unico sistema per avere un po’ di carne, fenomeno altamente frequente negli Stati africani, le cui popolazioni indigene non effettuano alcuna selezione. Questa razzia indiscriminata, invece che abbattere esemplari da trofeo, vecchi e ormai quasi a fine vita, incide su giovani, femmine e animali di qualunque età, catturati principalmente mediante trappole e lacci, che non consentono alcun tipo di selezione. Oltretutto viene a mancare la sorveglianza dei territori da parte delle compagnie di caccia che lasciano tutto nelle mani del bracconaggio e dei gruppi terroristici di al-Shabaab e Boko Haram, ormai dilaganti.
È paradossale inoltre che gli inglesi, dopo aver decimato nel passato la fauna dell’Africa e quella dell’India (quasi tutti gli ivory hunter erano di origine inglese), siano oggi così attenti. Al punto che non molto tempo fa, sapendo di questa intenzione, i rappresentanti delle comunità rurali di Angola, Botswana, Malawi, Mozambico, Namibia, Sud Africa, Tanzania, Zambia e Zimbabwe hanno scritto una lettera ai promotori inglesi della legge, per far capire la dipendenza delle loro genti, nelle comunità sparse per i grandi territori lontani dalle città, dall’unica maniera per contrastare la locale povertà: un uso corretto ed equilibrato delle risorse faunistiche delle loro terre. Ma i salvatori con la pancia piena, lontani migliaia di miglia dai loro veri problemi, nei salotti caldi dell’Europa animalista sicuramente non l’avranno nemmeno letta.