La cabina di regia unitaria del mondo venatorio – Caccia, Ambiente, Ruralità risponde a un articolo di "Il fatto quotidiano", che "spara" le solite cifre e la solita disinformazione sulla caccia.
Come ogni anno, al termine della stagione venatoria, puntualmente arrivano dossier vari da parte delle diverse sigle abolizioniste. Appuntamento imperdibile, quello dell’Associazione vittime della caccia, con i suoi numeri su incidenti e disgrazie che hanno visto protagonista un’arma da caccia. E ovviamente non manca chi si presta più o meno ingenuamente a riprendere questi dati e riproporli in varie salse attraverso i media. Quest’anno, prendendone uno a caso, abbiamo scelto quello apparso su una delle pagine internet de “Il fatto quotidiano” a firma di Fabio Balocco.
Non è nostra intenzione tuttavia contestare i dati dell’Associazione riportati dall’autore. Non perché li troviamo corretti, anzi. Anche se c’è da dire che negli anni, puntualmente smentiti dalle associazioni venatorie e dal Comitato nazionale Caccia e Natura, si sono fatti più accorti a “sparare” cifre abbondantemente gonfiate.
Non lo facciamo perché il problema non è quante vittime di incidenti denunciano, in quanto i morti meritano rispetto e speculare sul loro numero è vergognoso, soprattutto se lo si fa in difesa della mera ideologia animalista. Per noi, se a fine stagione ci fosse da registrare anche solo un incidente di poco conto sarebbe sempre troppo, per cui il nostro mondo vuole esprime profondo cordoglio per le vittime e, al contempo, cercare di lavorare sempre più sulla questione della sicurezza. Non è un caso che uno degli impegni maggiori delle associazioni venatorie è proprio quello di innalzare sempre e costantemente il livello di attenzione dei praticanti, tanto che il trend degli incidenti di caccia, quelli veri, negli anni è in diminuzione.
Ci sono molti sport – a proposito Balocco: la caccia non è, come scrive lei, uno sport. È passione, tradizione, socialità, condivisione della natura! Una cosa ben diversa anche se comprendiamo lei non possa capirlo – e attività all’aria aperta che purtroppo fanno ogni anno un numero di vittime più alto e con costi sociali assai più elevati: sci, raccolta di funghi, escursionismo, alpinismo, nuoto… perfino, pensi un po’, il tennis. Per non parlare degli incidenti domestici, prima causa di morte e invalidità nel mondo.
Questa però non è una giustificazione. Semmai un motivo di riflessione sul perché di tanta attenzione a quel che succede ai cacciatori.
Quello che contestiamo dell’articolo sono le valutazioni sulla caccia come attività nel suo complesso, nessuna delle quali suffragata da un minimo di oggettività.
La caccia, Balocco, in Italia non ha mai portato all’estinzione di nessuna specie, anzi, se molte sono aumentate – parliamo di cervi, caprioli, daini, ma anche di lepri e altre specie – è proprio perché una corretta e attenta gestione anche attraverso il prelievo lo ha consentito.
Ci pare quantomeno curioso che proprio un avvocato possa scrivere che la caccia è “anche violazione della proprietà privata grazie ad un obsoleto articolo 842 del Codice Civile”. Se è un comportamento consentito dalla legge, dove sta la violazione?
Sugli equilibri ecologici causati dall’introduzione di animali da parte dei cacciatori vogliamo parlare di gabbiani e pappagallini in città, di nutrie, di scoiattolo grigio americano e altre simpatiche specie aliene che l’Europa ci chiede di eradicare e che la deriva animalista e il buonismo salottiero di questo Paese impedisce di fare? L'Italia – sempre pronta al grido di "l'Europa lo vuole" – a imporre provvedimenti restrittivi i più disparati specie in tema di attività venatoria, in questo caso chissà perché fa orecchie da mercante. Sarebbe paradossale se dopo aver paventato costosissime infrazioni europee a carico dei cittadini per "colpa" di supposti privilegi concessi ai cacciatori, mai giunte, ne arrivasse ora una vera per questa inadempienza.
Pensi, lo dice perfino l’Ispra, quell’istituto che animalisti e anticaccia citano con zelo religioso quando riduce i tempi di caccia o il prelievo di una specie, ma che improvvisamente diventa stolta e inascoltabile quando chiede di procedere con i prelievi.
La caccia e i cacciatori non alterano l’ambiente, come lei dichiara in chiusura del suo articoletto. O meglio, in certi casi riescono a farlo. Migliorandolo, recuperando aree e zone depresse e abbandonate, tenendo sotto controllo le specie opportuniste e invasive che decimano i prodotti di campi e il lavoro degli agricoltori.
Concludiamo parafrasandola: ideologia e preconcetti, un mix micidiale che altera i fatti. E uccide la verità.