Cinghiale in Italia: ma quali immissioni dall’Est Europa…

Uno studio del 2022 dell’Università di Sassari, che ha recentemente trovato riscontro in documenti d’archivio, evidenzia come il patrimonio genetico dei cinghiali oggi diffusi in Italia sia autoctono e abbia anche ben poco in comune con il maiale domestico

Il portale agricoltura.it e il sito carabinieri.it hanno pubblicato qualche giorno fa una notizia relativa alla vexata quaestio relativa al perché i cinghiali abbiano subito, negli ultimi decenni, una diffusione esponenziale così incontrollata. La risposta a questa domanda, in particolare da parte degli animalisti, è che il ceppo originario di cinghiali che insistevano nella penisola italiano sia stato ibridato o addirittura in gran parte sostituito, geneticamente, con ceppi dell’Est Europa, importati a scopo di ripopolamento venatorio, a loro volta ibridati con il maiale domestico. Per questi motivi, gli esemplari oggi esistenti sarebbero molto più grandi rispetto ai cinghiali “originari” e molto più prolifici.

Ebbene, dati alla mano, le cose non sembrano stare in questo modo: in particolare uno studio compiuto dall’Università di Sassari nel 2022 smentisce nettamente questa ipotesi, evidenziando, tramite l’analisi dei patrimoni genetici di 134 cinghiali provenienti da sei regioni italiane (dalla Val D’Aosta alla Calabria), confrontati con il Dna di 128 cinghiali europei e di 103 suini domestici, che c’è una rilevante differenza genetica tra i cinghiali presenti in buona parte dell’Italia e quelli diffusi nel resto d’Europa, ma anche tra i cinghiali selvatici e il maiale domestico. Lo studio ha, inoltre, evidenziato come i cinghiali italiani abbiano mantenuto sostanzialmente invariata la loro identità genetica originaria.

L’analisi genetica ha dimostrato che, in effetti, il patrimonio genetico dei cinghiali sia costituito in prevalenza da soggetti provenienti dall’area tirrenica di Castel Porziano, della Maremma tosco-laziale e delle colline metallifere e che appartiene alla sottospecie sus scrofa majori, cioè il cinghiale maremmano.

Più di recente, grazie all’impegno del raggruppamento carabinieri biodiversità di Siena, è stata trovata la documentazione originale comprovante la diffusione degli attuali cinghiali da un allevamento nel Senese, nel corso degli anni Sessanta. Documentazione dalla quale si evince anche che già all’epoca i cinghiali nostrani erano perfettamente in grado di raggiungere e superare il quintale di peso e non, come propalato, fino intorno ai 50-60 chilogrammi.

La conclusione alla quale si perviene dall’esame incrociato di questi dati evidenzia come a stimolare la diffusione esponenziale della specie cinghiale non siano state, quindi, fantomatiche ibridazioni, quanto piuttosto un sostanziale mutamento degli habitat che, in particolare con l’abbandono da parte dell’uomo delle zone silvestri, collinari e medio-montane, proprio a partire dagli anni Sessanta, abbia favorito la disponibilità per la specie cinghiale di importanti fonti di nutrimento (a partire da castagne e ghiande), non più soggette a raccolta da parte dell’uomo.