Dopo le polemiche sull’abbattimento dei cinghiali a Roma, i numeri sul fenomeno delle catture nell’area: la procedura non prevede la consegna ai brutti cacciatori, bensì una più politicamente corretta “trasformazione alimentare”
Quando i nostri detrattori mettono mano a manovre contorte per descrivere certe operazioni, nonostante tutto non possono non suscitare tenerezza. Come i bambini quando dicono una bugia, compiendo tali contorsionismi verbali che da bugia diventa una cosa apparentemente diversa. Ma resta sempre una bugia. È un po’ quello che accade nella provincia di Roma per quello che riguarda la presenza sempre più massiccia dei cinghiali nell’area metropolitana.
Dopo il penoso episodio che si è svolto nel parco pubblico Aurelio, che ha visto sopprimere davanti a centinaia di persone inferocite, tra cui molti animalisti Doc, una femmina adulta con sei o sette cinghialotti, Roma Natura ha reso noti i numeri delle operazioni di contenimento. Maurizio Gubbiotti, presidente dell’ente, che gestisce i parchi e le riserve nel Lazio, ha fornito i numeri dei cinghiali catturati in 18 mesi. Naturalmente tutto gestito e sottoscritto da un protocollo del Comune di Roma, Città metropolitana e Provincia. “Sono circa 400 i cinghiali catturati nelle riserve di Decima Malafede (continuamente rifornita involontariamente dalla tenuta adiacente di Castelporziano, nda) e della Marcigliana”. Gubbiotti si è precipitato peraltro a specificare che “Comunque gli animali che prendiamo non li mandiamo a morire nelle aziende venatorie. Tutti i cinghiali catturati sono infatti destinati alle aziende di trasformazione della carne che si sono accreditate partecipando ad apposite gare“. Capito? Trasformazione. Ovvero, dopo una notte passata in gabbie a sbattere il muso contro reti e paletti di ferro (esperienza personale), vengono caricati su camion e portati in fila al macello dove verranno “trasformati”. Ipocrisia è dire poco. Il contorsionismo delle parole mette così tutti a letto presto a dormire sonni tranquilli. I cinghiali non finiscono in mano a quelle bestie di cacciatori, ma “trasformati” in salsicce e spezzatino che poi i gli ambientalisti, a cuor leggero, potranno mettersi nel piatto. A parte il fatto che nelle cosiddette aziende venatorie c’è una possibilità reale per questi animali di campare per molto tempo e a volte anche di uscire dai confini e tornare a essere animali liberi. Mentre dai macelli, veri campi di concentramento autorizzati, non fugge mai nessuno e si va a morte super-certa. No, scusate…Trasformazione certa. Anche se non ce lo chiede nessuno però, noi avremmo la presunzione di risolvere il problema cinghiali metropolitani con una “grande” nostra idea. Se invece di mantenere tonnellate di spazzatura commestibile a imputridire fuori dai cassonetti la si togliesse in maniera efficiente, forse finirebbe il richiamo che ogni animale intelligente sente per istinto. E se invece di tenere una città come una foresta di macchie spinose in ogni quartiere la si tenesse potata e pulita, finirebbe anche, guarda un po’, il rifugio per i predatori dei cassonetti. Ovvero, se oltre a fare operazioni di bonifica per le discariche, sempre molto ben viste così come le magliette che indossano le solite associazioni organizzatrici, si facesse la prevenzione di cui sopra finirebbe totalmente il problema. Se continua il degrado continueranno sempre i fenomeni suddetti. E così almeno qualcuno non dovrà più arrampicarsi sugli specchi per trovare parole finte per descrivere morti vere, non “trasformazioni”.