Il Fatto quotidiano riporta all’attenzione del pubblico un ddl del 2019 che presenta risvolti inquietanti…
È abbastanza singolare il tempismo con il quale, una volta apparentemente risolto il nodo dei fondi europei per le conseguenze economiche dell’emergenza Covid-19, si ritorni a parlare di disegni di legge (restrittivi, ovviamente) in materia di armi, dopo una pausa di riposo persino impossibile da credere in uno dei momenti in cui è forte come non mai nella storia repubblicana la maggioranza politica anti-armi, con l’attuale coalizione giallorossa. A riaccendere i riflettori sulla materia è, in questo caso, il Fatto quotidiano che ha pubblicato una notizia relativa al Ddl proposto nel 2019 dai senatori pentastellati Mattia Crucioli e Gianluca Ferrara, che propone di istituire una anagrafe informatizzata dei detentori di armi alla quale possano accedere le aziende sanitarie locali per riscontrare in tempo reale se un soggetto in cura per malattie mentali e “disturbi psicopatologici, compresi i disturbi della personalità” sia detentore di armi, nel qual caso si possa tempestivamente avvisare l’autorità di pubblica sicurezza per il sequestro cautelativo delle armi.
L’idea di fondo è a nostro avviso apprezzabile, nel senso che prevede l’istituzione di un filtro “passivo” che non richiede ai legali detentori di armi di affrontare ulteriori spese, balzelli e tasse varie con cadenza più ravvicinata rispetto ai certificati medici quinquennali previsti dalla legge (annuali per il porto per difesa personale, biennali per le guardie giurate), consentendo però allo stesso tempo un livello di vigilanza molto più efficiente rispetto a quella che potrebbe essere una visita medica programmata con cadenza annuale (soluzione propugnata da alcune associazioni anti-armi). Una soluzione di questo genere era stata suggerita anche dal sociologo Paolo De Nardis, coordinatore della prima indagine statistica sugli omicidi con armi legalmente detenute.
Il tutto, sostanzialmente senza aggravio di spesa per la finanza pubblica, tra l’altro. Per contro, a nostro avviso ci sono anche numerose criticità che suscitano preoccupazione.
La prima e più importante criticità è costituita, come abbiamo ricordato al principio del discorso, dal fatto che l’attuale maggioranza di governo è fortemente presidiata da soggetti politici avversi alle armi in quanto tali. Ne consegue che, purtroppo, può verificarsi nel corso dell’iter di approvazione che un ddl nato con scopi eminentemente “tecnici” si ritrovi “arricchito” in corso d’opera da postille aggiunte per danneggiare gratuitamente il settore, con la collaborazione delle associazioni disarmiste.
Ci sono, tuttavia, cose preoccupanti anche nel testo del ddl in quanto tale: la prima è relativa al fatto che tra gli elementi sufficienti a determinare il ritiro delle armi non vi sono solo le “malattie mentali” in quanto tali, bensì anche i “disturbi psicopatologici, compresi i disturbi della personalità”, definizione quantomai ampia e che ricomprende tra l’altro un gruppo di patologie, cioè quella dei disturbi della personalità, che può essere evidenziato (e diagnosticato) con sintomi che però non necessariamente integrano tale patologia, quali ansia o disturbi alimentari che possono essere determinati da situazioni transitorie (perdita di un lavoro, infermità di un famigliare eccetera) e non da situazioni croniche.
Questa ambiguità porta direttamente all’aspetto maggiormente problematico del ddl in oggetto, cioè (a nostro avviso, s’intende) il fatto che non risulti prevista in alcun modo una procedura di riesame rispetto alla diagnosi formulata dal medico che ha in cura il soggetto. In altre parole, rifacendoci al noto decreto ministeriale del 1998 sui requisiti psicofisici per il rilascio o il rinnovo del porto d’armi, se è evidente e logico che sia previsto che contro una dichiarazione di non idoneità del medico certificatore sia possibile fare ricorso davanti a una commissione medica, non si comprende per quale motivo non sia possibile fare altrettanto di fronte a una diagnosi effettuata da un medico dell’Asl. È ovvio che nel caso in cui vi sia il sospetto di tali patologie è doveroso procedere al ritiro cautelativo delle armi, sarebbe anche legittimo domandarsi se non sia comunque possibile prevedere una procedura di riesame collegiale per consentire la “revoca”, per così dire, di una diagnosi magari frettolosa e la revoca delle misure di tutela della collettività.
Forse apparirà sproporzionato l’accostamento, ma in effetti il “caso Bibbiano” ha portato alla ribalta il fatto che ci sono norme di legge che attribuiscono a specifici soggetti un elevatissimo potere decisionale sulle persone (in quel caso minori, in questo soggetti detentori di armi), senza che apparentemente siano previsti meccanismi efficaci di tutela nei confronti degli errori (quando in buona fede) e degli abusi (quando in mala fede) da parte di questi soggetti.
È anche inquietante che, alla fin fine, se per quanto riguarda il diritto penale sono previste adeguate tutele per l’indagato al fine di garantire la sua difesa da accuse magari false (a partire dall’habeas corpus della magna charta, risalente al 1215), non altrettanto si preveda per il complesso e per certi versi ancora controverso magma delle “malattie mentali”.