L’emergenza dettata dal dilagare della peste suina africana tra Liguria e Piemonte rende necessario un massiccio intervento di contenimento e riduzione numerica della specie, per la quale, evidentemente, il coinvolgimento dei cacciatori risulterà sempre più essenziale. Ma cosa fare se la normativa regionale rende quasi impossibile l’ottenimento dell’abilitazione per la caccia di selezione o la braccata? È questo il caso del Piemonte che come altre regioni ha previsto, tra l’altro a ragion veduta, l’introduzione di un esame di tiro obbligatorio per l’ottenimento delle autorizzazioni all’attività venatoria. Il problema, tuttavia, riguarda le modalità indicate dalla legge regionale 5/2018 e dalla delibera della giunta 130-9037 del 16 maggio 2019, che rendono estremamente complesso e laborioso il procedimento, rischiando di ridurre considerevolmente la platea dei soggetti che potrebbero collaborare alle operazioni di contrasto alla Psa. A darne notizia è il comitato Difesa dei legali possessori di armi, con una lettera aperta inviata all’assessore regionale piemontese Marco Protopapa, chiedendo un rapido intervento e una modifica normativa.
Il comitato, infatti, denuncia il fatto che in Piemonte sia necessario eseguire la prova di tiro «per ogni singola arma detenuta» dal cacciatore, mentre sarebbe più che sufficiente prevederne una con una carabina a canna rigata e una con un fucile a canna liscia, come stabilito da altre regioni. In più, aggiunge Dlpa «l’erronea individuazione dei poligoni e dei soggetti “certificanti” tali prove, individua di fatto pochissimi soggetti abilitati, discriminandone altri, prevedendo inoltre titoli e abilitazioni che oggi sono sensibilmente mutate».