Il Safari club international lancia l’allarme: la pandemia per Coronavirus potrebbe rappresentare una minaccia concreta per i programmi di conservazione faunistica. Perché?
Il capo ufficio esecutivo del Safari club international, Laird Hamberlin, ha lanciato l’allarme: la pandemia di Coronavirus può rappresentare un serio problema non solo per gli esseri umani, ma anche per la fauna. Non certo, e non tanto, per improbabili scenari di contagio tra specie e specie, quanto molto più concretamente per il fatto che agli Stati duramente colpiti dall’epidemia verrebbero a mancare miliardi di dollari di fondi, che fino a oggi si traducevano anche in programmi per la conservazione della fauna selvatica e degli habitat, nonché nel sostentamento delle agenzie statali per la gestione della fauna selvatica. “Solo lo scorso anno”, spiega Hamberlin, “il governo federale statunitense ha raccolto quasi un miliardo di dollari di accise pagate su pistole, munizioni e prodotti correlati. Tali tasse furono stabilite nel 1937 con l’approvazione del Pittman-Robertson Act, su sollecitazione di cacciatori e ambientalisti. Le tasse vengono quindi ridistribuite annualmente negli Stati tramite il programma di ripristino della fauna selvatica e della pesca sportiva, gestito dall’Us Fish and wildlife Service. I fondi vengono quindi distribuiti da scienziati e biologi statali che monitorano, ricercano e gestiscono popolazioni di animali selvatici. In tempi normali, il programma funziona senza intoppi e le tasse pagate dai cacciatori vengono distribuite direttamente sul campo per supportare la conservazione di oltre 500 diverse specie di selvaggina e non. Ma questi non sono tempi normali. La pandemia sta facendo enormi buchi nei bilanci statali, che si propagheranno attraverso le agenzie statali per gli anni a venire. La vendita di licenze di caccia, che fornisce la maggior parte dei fondi di abbinamento degli Stati, probabilmente cadrà precipitosamente nelle diffuse difficoltà economiche che hanno già iniziato a diffondersi a livello nazionale. Alcuni stati stanno già esacerbando il problema annullando l’accesso dei non residenti alle prossime stagioni venatorie. Le licenze di caccia per non residenti, in genere, hanno un costo ben al di sopra delle licenze per residenti, quindi la conseguente perdita di finanziamenti sarà ancora più acuta. È amaramente ironico che anche mentre le vendite di armi sono in aumento e le accise si riversano nelle casse federali, agli Stati potrebbe essere negato l’accesso ai finanziamenti di conservazione fondamentali su cui si basano le popolazioni di animali selvatici della nostra nazione”.
Il problema ovviamente si pone non soltanto per gli Stati Uniti ma, potenzialmente, per tutti i Paesi del mondo, da quelli africani (e sappiamo, in particolare, quanto i fondi derivanti dai safari organizzati nel rispetto delle norme siano vitali per finanziare la lotta al bracconaggio) a quelli europei e asiatici.